Suona fortissimo l’allarme nelle cancellerie ex sovietiche ed in molte occidentali. Il Kirghizistan è sull’orlo della guerra civile. Il presidente kazakho Nazarbaiev pone i problemi del vicino al primo posto della sua agenda. I russi si stanno mobilitando, i cinesi lanciano appelli alla calma. Alcuni esperti indipendenti non escludono il prossimo intervento di truppe del patto di Shanghaj (di cui fanno parte 5 repubbliche ex sovietiche oltre alla Cina).
Il governo di Bishkek ha decretato lo stato di emergenza ed il coprifuoco nella regione di Osh, dove si sono registrati, nella notte tra giovedì e venerdì, gravissimi scontri interetnici tra kirghisi ed uzbechi, ed ha dispiegato truppe corazzate anche se in numero insufficiente. Dopo l’apparente calma della giornata di venerdì, col buio gli scontri interetnici sono ripresi, mentre le forniture di energia elettrica e gas sono state interrotte. Sabato si è sparato all’impazzata, mentre in numerosi quartieri sono apparse le barricate. Disordini sono avvenuti, sabato, anche nella capitale distante 600 chilometri dall’epicentro degli scontri. Domenica l’Esecutivo kirghiso ha dato ordine alle truppe fedeli di sparare per uccidere su chi gira armato.
Osh è letteralmente divisa in due: l’est kirghiso, l’ovest uzbeco. Decine sono i morti accertati e quasi un migliaio i feriti. Si combatte anche in altre località del sud del Paese asiatico, ma le notizie sono estremamente frammentarie. Migliaia di profughi si sono assiepati alla frontiera con l’Uzbekistan nel tentativo di fuggire. L’Esecutivo provvisorio a Bishkek ha chiesto ufficialmente alla Russia aiuto e l’invio di unità di paracadutisti.
Il Cremlino teme di impelagarsi in uno scontro interetnico, ma comprende la gravità della situazione. Dalla valle di Ferganà si controlla l’accesso all’Asia centrale dalle zone montagnose del sud, dall’Afghanistan. Nel 1990 ad Osh si ebbe un massacro le cui conseguenze furono a fatica controllate dall’Urss di Gorbaciov. Lunedì 14 è stata indetta una riunione d’emergenza del Consiglio di sicurezza dei Paesi del patto di Shanghaj.
La leader provvisoria kirghisa Otunbaieva denuncia il tentativo di evitare il referendum costituzionale del 27 giugno. Ma l’indigesto cocktail di problemi socio-economici irrisolti – mischiati a questioni interetniche e politiche – rischia di far esplodere l’intera Asia centrale.
Articolo – EuropaRussia – 9 aprile 2010. Situazione fuori controllo – YouTube.
Aggiornato 13.06.2010 – h.19,00 Mosca
Nel corso del 1989 in Kirghisia nacquero diverse società di costruzioni che miravano ad ottenere terre da edificare attorno alla capitale Frunze (Bishkek) ed alle altre principali città del Paese. Ad Osh la principale compagnia era la “Oshaimagy”, che, il 7 maggio 1990, chiese di poter disporre dei terreni facenti parte del kolkoz “Lenin”, in gran parte appartenente a lavoratori uzbechi.
Come tutta risposta gli uzbechi chiesero di poter costituire un’autonomia locale uzbeca e la concessione dello status di lingua di Stato all’uzbeco.
Il 4 giugno bande di kirghisi ed uzbechi si scontrarono sulle terre contese del kolkoz. La polizia aprì il fuoco. Ad Osh iniziarono subito disordini: saccheggi, incendi, violenze generalizzate contro gli uzbechi. Lo stesso accadde nella città di Uzgen ed in numerose zone rurali. Solo il 6 giugno le truppe sovietiche riuscirono a riportare l’ordine. In precedenza era stato fermato l’arrivo da alcuni villaggi uzbechi l’arrivo di facinorosi.
Secondo le sottostimate cifre ufficiali negli scontri morirono circa 300 persone, oltre un migliaio i feriti, centinaia le case distrutte. Gli studiosi indipendenti ritengono che il numero esatto di vittime sia di 5-6 volte superiore.
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