Primi passi concreti verso un mondo più sicuro. Gli ex nemici della Guerra Fredda iniziano seriamente a collaborare tra loro. L’intesa politica tra Nato e Russia si appoggia principalmente su due elementi: sviluppo comune di un mini-Scudo regionale; aiuto nel disinnescare la mina afghana.
Ma prima la nuova Concezione strategica della Nato la cui definizione – come ha candidamente ammesso in conferenza stampa a Lisbona il presidente Medvedev – Mosca ha seguito nei mesi scorsi con estrema “attenzione”. Nel documento si legge che l’Alleanza atlantica “non rappresenta una minaccia per la Russia”, anzi “cerca con lei cooperazione”. Questa collaborazione è “strategicamente importante, poiché contribuisce alla creazione di un comune spazio di pace, stabilità e sicurezza”.
Il capo del Cremlino ha dichiarato che complessivamente nella Concezione strategica della Nato si esprimono bene i nuovi rapporti con il suo Paese. La speranza russa è che questo momento positivo nelle relazioni Est – Ovest non sia un semplice “venticello” passeggero come già avvenuto in altre occasioni in passato.
Ecco perché Mosca ha accettato le offerte occidentali di cooperazione, ma non si fida più di tanto. La principale preoccupazione è rappresentata dalla complessa ratifica dello Start da parte del Senato Usa. “Faremo le cose in maniera simmetrica”, ha ammonito Medvedev, che ha sottolineato come il mancato voto favorevole al trattato dei parlamentari statunitense “non renderà il mondo più sicuro”.
Veniamo al mini-Scudo. Ormai non si parla più, come ai tempi di Bush, di Scudo spaziale strategico, quello per intenderci contro i vettori a lungo raggio, ma di difese anti-missilistiche regionali contro minacce portate da piccola e media distanza. La Nato ha inviato a Mosca, alcune settimane fa, i suoi esperti per definire tecnicamente come unire il proprio sistema con quello russo. Nei prossimi mesi il lavoro proseguirà con ufficialmente la benedizione del duo Medvedev-Putin.
Le cose non vanno troppo bene in Afghanistan, dove, da anni, la Nato sta levando le castagne dal fuoco alle repubbliche ex sovietiche. Anche durante le settimane più oscure della crisi tra Bush ed il Cremlino la Russia non ha mai cancellato il permesso di transito di materiale logistico alleato verso l’Asia centrale.
Invero Mosca da quelle terre sfortunate non ha mai distolto l’attenzione. Ad iniziare dall’autunno ’96 dopo che i talebani presero il potere a Kabul. Il Cremlino convocò una riunione d’emergenza delle repubbliche ex Urss asiatiche per organizzare la difesa dello spazio ex sovietico. I successivi attacchi islamici in Tagikistan, Kirghizistan ed Uzbekistan e le infiltrazioni in Caucaso settentrionale le diedero ragione.
Adesso che è stata annunciato l’inizio di una “exit-strategy” dall’Afghanistan dal 2011 al 2014 la preoccupazione nell’ex Urss torna a salire. Una voce, che si rincorre, è che qualcuno in Occidente pensi addirittura di ripassare il boccone avvelenato afghano al Cremlino. Medvedev ha ricordato come la situazione interna di quel Paese “rappresenta una minaccia per il mondo circostante”.
Tornando a Lisbona, dove è stata a più riprese utilizzata la parola “partner”, i russi hanno concesso ufficialmente maggiore libertà di transito per il rientro delle truppe Nato tra il 2011 ed il 2014. Ma gli occidentali si aspettano un ruolo molto più attivo del Cremlino.
Certo è che se la Russia vorrà rimanere una potenza regionale dovrà fare la sua parte anche nei teatri scomodi. Il problema è se l’ex superpotenza ha dentro di sé la forza morale e materiale per un tale compito.
Giuseppe D’Amato
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