La Russia proprio non si aspettava un “1989” in Africa settentrionale. I vetusti regimi autoritari della regione scricchiolavano da tempo, ma nessuno si azzardava nemmeno ad ipotizzare che cadessero uno dopo l’altro, innescando un infermabile “effetto domino”. Anche la Siria, l’alleato storico di Mosca nell’area dirimpettaia, rischia di venire sommersa dall’ondata di proteste iniziate nel Maghreb. La futura posizione dell’Egitto sulla questione palestinese suscita preoccupazione al Cremlino e potrebbe mischiare ulteriormente le carte in Medio oriente, mettendo a dura prova la diplomazia russa, tradizionalmente assai attiva nella sua opera di mediazione.
I potenti satelliti di Mosca stanno tenendo sotto stretta osservazione la campagna militare in Libia con il dispiegamento della Flotta occidentale nel Mediterraneo e la situazione dei pozzi petroliferi. “Nessun aereo ha mai bombardato Benghasi”, si sono affrettati ad affermare alti ufficiali dell’ex Armata rossa, smentendo le tivù di mezzo mondo, quelle arabe per prime, quando nella prima settimana di scontri il vuoto mediatico era completo. Il Cremlino ha sdoganato Gheddafi, definito un “cadavere politico” dalla solita fonte ufficiale anonima. L’ingombrante leader della rivoluzione libica ha avuto il torto di non permettere per anni l’entrata dei russi negli immensi affari energetici del suo Paese. Solo di recente, grazie all’Eni, la Gazprom ha acquisito delle quote nel progetto “Elephant”.
Il Cremlino teme, comunque, che gli occidentali approfittino delle ribellioni popolari per cavalcarle, ecco perché farà valere il proprio peso all’interno del Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Solo in questa sede, si sottolinea a Mosca, possono essere prese decisioni importanti come la chiusura degli spazi aerei libici (no-fly zone). “La democrazia non si esporta”, è stato il monito che il premier Putin ha lanciato in incontri ufficiali, ricordando l’esperienza fallita delle “rivoluzioni colorate” filo-Usa nello spazio ex sovietico tra il 2003 ed il 2008.
Gli eventi del nord Africa destano, però, timore a Mosca per le possibili ripercussioni nel proprio “cortile interno”. Anche qui governi autoritari, che controllano enormi ricchezze minerarie, reprimono le masse povere, globalizzatesi negli ultimi anni grazie ad Internet. Gli articoli sui parallelismi al riguardo si sprecano sulla stampa di tutta la Comunità degli Stati indipendenti.
Per adesso, in mancanza della possibilità di influire direttamente sugli eventi, due sono i risultati parziali positivi ottenuti dalla Russia in questo “’89 africano”. Per prima cosa Putin è potuto volare a Bruxelles alla fine di febbraio e dimostrare agli euroburocrati quanto i tanti criticati approvvigionamenti russi, un paio di volte bloccatisi per i litigi con l’Ucraina, rimangano strategici per il Vecchio Continente. Secondo, in virtù dell’impennata del prezzo del petrolio a seguito della crisi libica, nel 2011 la Russia potrà tranquillamente non mettere mano ai fondi di riserva per finanziare sia i progetti di modernizzazione del Paese sia l’imminente campagna elettorale. In un momento in cui tra la gente si osservano segnali di insoddisfazione verso il governo federale per l’aumento del costo della vita una possibilità del genere pare veramente caduta dal cielo.
Giuseppe D’Amato
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