A Juzhno-Sakhalinsk, ogni trenta minuti, gli altoparlanti sistemati nelle strade e piazze principali rilanciano il bollettino delle radiazioni. Fukushima si trova al di là del mare ad un migliaio di chilometri più a sud. La vita prosegue tranquilla anche se i 173mila abitanti della città isolana sono preoccupati. Bere l’acqua in bottiglia è la prima cosa da fare come stare il meno possibile all’aperto.
Per tranquillizzare la gente, che non si fida dei soliti “funzionari” il premier Putin si è precipitato fin quaggiù quasi subito dopo lo tsunami di marzo. 6,5 milioni di russi vivono nell’Estremo oriente e Vladivostok dista soltanto ottocento chilometri ad ovest della centrale giapponese. I venti per ora spirano verso est, verso il Pacifico e gli Stati Uniti.
Dozzine di specialisti federali sono stati inviati da Mosca nel Sol Levante per controllare da vicino la situazione. La loro esperienza, fatta a Cernobyl, potrebbe tornare utile.
Nei mesi scorsi le relazioni russo-giapponesi sono state roventi per il riaccendersi della disputa per le isole Curili meridionali. I due Paesi non hanno ancora nemmeno firmato il Trattato di pace a conclusione della Seconda guerra mondiale per la questione dei confini. Dopo l’incidente di Fukushima il Cremlino avrebbe voluto raffreddare i rapporti tesi, ma i giapponesi hanno risposto picche.
Mosca, a questo punto, starebbe valutando di far entrare compagnie di Tokyo nell’azionariato per lo sfruttamento dei grandi campi siberiani di Kovykta e di Chayanda in Jakuzia. Putin ha anche dato disposizione di mettere a disposizione del Sol Levante la maggiore quantità possibile di idrocarburi per i prossimi mesi. L’obiettivo primario è far dimenticare i recenti ordini del presidente Medvedev di dislocare immediatamente sulle Curili armi di ultima generazione in funzione anti-nipponica.
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