Russia sempre più a due teste: una con lo sguardo verso occidente, l’altra verso oriente. Il primo viaggio all’estero di Dmitrij Medvedev in qualità di presidente della Federazione è stato in Cina. Il segnale lanciato dal Cremlino è chiaro. Se Unione europea e Stati Uniti non ci accoglieranno realmente nel novero delle potenze che contano nell’era della globalizzazione le strategiche materie prime russe prenderanno la strada dell’oriente.
Scelte discutibili o ripicche a parte, l’evidenza è sotto gli occhi di tutti. Dopo il crollo dell’Urss nel 1991 l’ex superpotenza, soprattutto militare, è tornata nel “salotto buono” del pianeta. E’ necessario ora riconoscerlo e conseguentemente accordare a Mosca il posto che le compete. Questo accadde per la Germania all’interno della Comunità europea dopo la Seconda guerra mondiale. Il cammino non è, però, facile: tante sono le incomprensioni, accumulatesi negli ultimi anni, e gli scogli nuovi da superare.
Seguendo la tradizionale linea ambiziosa e connotata da aspetti spesso nazionalistici, il Cremlino intende far emergere nei prossimi anni la piazza di Mosca come uno dei principali centri finanziari del mondo ed il rublo come moneta di riferimento regionale, almeno all’interno delle repubbliche ex sovietiche.
L’obiettivo del “piano Putin” è di far diventare il Paese la sesta economia del mondo entro il 2020. Finora – 2007/2008 – si è riusciti ad entrare nelle prime dieci. Gli Stati Uniti continuano a produrre circa un quarto del Pil del G8, distanziando ampiamente Giappone e Germania. Solo nel 2040, secondo calcoli di alcune agenzie specializzate quali ad esempio la Goldman Sachs, il prodotto interno lordo cinese potrà superare quello a stelle e strisce, sempre che permangano le presenti dinamiche. La Russia resterà distanziata
I sornioni vicini
“Imparate il cinese”. Così Dmitrij Medvedev ai suoi connazionali quando era un semplice primo vice-premier. Da tempo Mosca ha scelto Pechino per controbilanciare Washington e respingere il suo tentativo di intrusione in Asia centrale. Questa alleanza a livello internazionale può essere utile nel breve-medio periodo, ma, nel lungo, potrebbe rivelarsi un boomerang. Lo dicono i grandi numeri. In Siberia vivono solo 30 milioni di russi contro i 200-300 milioni di cinesi ammassati nei pressi della frontiera nord. Una massiccia ondata di immigrati, in caso di inizio di crisi economica a Pechino, è temuta dagli specialisti moscoviti dell’Impero celeste.
Tuttavia, “Il vero problema per noi – sottolinea il professor Viktor Djatlov di Irkutsk – non è il nodo territoriale, bensì l’assoggettamento economico”. L’economia della Siberia e dell’Estremo oriente russo non guarda affatto verso occidente, ossia Mosca. Ormai è dipendente da quella di Pechino.
Il Cremlino ha così dato il via ad un tentativo di riequilibrio della situazione. Ha l’obiettivo di portare il volume complessivo degli scambi da 48,2 miliardi di dollari annui di oggi a 60 entro il 2010. Ben al di sotto, comunque, rispetto all’interscambio sino-americano che, nel 2005, arrivava alla gigantesca cifra di 285 miliardi.
La costruzione di oleodotti e gasdotti verso la Cina va, però, avanti tra le mille difficoltà rappresentate dalla geografia siberiana. Ed il nodo del prezzo delle materie prime non è stato ancora sciolto: i cinesi non intendono pagare quanto richiesto dai russi. Pechino, a differenza di numerosi Paesi del Vecchio Continente, ha sì fame di petrolio e gas, ma è stata abile a diversificare, soprattutto con importazioni da Africa e Kazakhstan. In questo caso è il consumatore a dettare il prezzo non il produttore, incastrato tra complessità tecniche, posizione geografica infelice e concorrenza preparata. Le materie prime di certe aree della Siberia possono essere vendute solo a cinesi o a giapponesi. Ma le coste nipponiche non sono in vista e l’Europa è decisamente troppo lontana.
“Vogliamo un mondo multipolare”, Medvedev ha ribadito, come i suoi predecessori Eltsin e Putin, insieme alle autorità cinesi. Durissimo è stato l’attacco lanciato contro il progetto di dispiegamento dello Scudo spaziale Usa in Polonia e Repubblica ceca. Le cancelliere occidentali sanno perfettamente, anche se qualcuno lo nega ufficialmente, che, in questo mondo globalizzato sempre più incerto per la diminuzione del gap tecnologico tra Paesi ricchi e quelli poveri, si garantisce la propria sicurezza solo investendo continuamente nella ricerca militare, mantenendo così inalterata la propria superiorità.
Chiusi ad ovest – la scelta filo-iraninana ha inciso e non poco -, i russi stanno costruendo centrali nucleari in Cina a man bassa ed hanno stretto un’alleanza spaziale con Pechino per esplorare Marte nei prossimi anni.
Il viaggio di Medvedev nell’Impero Celeste evidenzia che la linea del Cremlino per il prossimo quadriennio non è solo quella della continuità, ma anche del maggiore impegno ad Est. Il compito occidentale è di non buttare troppo la Russia tra le braccia della Cina. Le conseguenze tra un decennio potrebbero essere assai amare.
Gallina dalle uova d’oro?
Stati Uniti ed egoismo occidentale come uno dei responsabili dell’attuale crisi economica; le ricchezze minerarie russe come una delle soluzioni. La ricetta di Dmitrij Medvedev, pronunciata al Forum 2008 di San Pietroburgo, appare nella sua semplicità. Tornano subito in mente passate concezioni imperiali della Russia come “la gallina dalle uova d’oro”. Ma sono tutte rose e fiori come racconta Mosca?
Unione europea ed Usa hanno estremo bisogno delle materie prime russe, non potendo fidarsi della situazione esplosiva in Medio Oriente. Il Cremlino lo sa perfettamente e spera di ottenere il massimo da questa congiuntura strategica internazionale. Le ragioni sono semplici: se vuole essere un giocatore rilevante della globalizzazione la Russia sarà costretta ad investire pesantemente nella vetusta industria estrattiva e soprattutto nelle obsolete infrastrutture (ndr. non esiste nemmeno un’autostrada tra la capitale e San Pietroburgo – distanti come Milano e Roma). Oggi, grazie agli immensi proventi per la vendita di petrolio e gas, Mosca ha le terze maggiori riserve aurifere e valutarie del mondo (quasi 600 miliardi di dollari), ma esse non sono sufficienti a tale gigantesco lavoro da compiere. Finora i capitali occidentali presenti sono stati minimi. Europei ed americani hanno messo ad esempio più soldi nell’economia polacca che in quella russa.
L’anacronistica situazione diplomatica con il Giappone – con il quale non è stato ancora firmato un trattato di pace a conclusione della Seconda guerra mondiale – priva la Russia soprattutto orientale di importanti capitali che farebbero decollare l’economia siberiana.
Giuseppe D’Amato
Giugno 2008
We are a group of long experienced European journalists and intellectuals interested in international politics and culture. We would like to exchange our opinion on new Europe and Russia.