Il “generale gelo” non ha fermato l’opposizione russa come fece con Napoleone e le truppe dell’Asse. Le forze vicine al premier Vladimir Putin speravano nelle pessime condizioni meteorologiche, ma è andata loro male. Se, sabato 4 febbraio, così tanta gente è scesa in strada a protestare contro il Cremlino a venti grado sottozero vuol dire che la misura è davvero colma anche per un popolo, quello russo, da secoli abituato a sopportare di tutto.
Il fenomeno incredibile da descrivere è che la caduta di Vladimir Putin dall’Olimpo degli déi è stata verticale. Come verticale è il suo potere, costruito dopo il Duemila. La stessa cosa successe per altri suoi illustri predecessori. Lo zar Nicola II festeggiava in pompa magna i trecento anni di potere dei Romanov nel 1913, salvo poi essere fucilato con la sua famiglia dai bolscevichi quattro anni dopo.
Il cortocircuito tra Putin ed il Paese è avvenuto il 24 settembre scorso, quando il “tandem” ha comunicato la decisione di scambiarsi le cariche. Ossia il presidente uscente Dmitrij Medvedev sarebbe diventato primo ministro, mentre l’attuale premier sarebbe tornato al Cremlino per il suo terzo mandato. “L’avevamo già deciso da tempo”, si sono pure fatti scappare i due amici di vecchia data.
La sfrontatezza dei modi e la sensazione che il voto popolare non conti nulla sono state la scintilla che ha innescato la protesta. Internet e i social network hanno iniziato un incessante lavoro ai fianchi del Cremlino, che, per la prima volta da anni, ha perso una battaglia mediatica. Il partito del potere Russia Unita è stato etichettato come la formazione “dei malfattori e dei ladri” in un Paese tra i più corrotti al mondo.
Dopo i palesi brogli alle legislative del 4 dicembre l’onda lunga di Internet non si è fermata ed ora rischia di travolgere lo stesso Putin, che, per anni, ha giocato il ruolo dello “zar buono” circondato da aristocratici (leggasi oggi funzionari pubblici) cattivi. Per la prima volta il premier, che – è bene dirlo – ha enormi meriti per il boom economico di inizio secolo, mostra segni di debolezza.
Le manifestazioni di sabato ricordano infatti quelle della primavera ’91. Allora Michail Gorbaciov, che tentava di riformare l’Urss, riusciva a portare in piazza qualche decina di migliaia di persone, principalmente militari o gente legata alle forze di sicurezza. Dall’altra parte della barricata Boris Eltsin radunava folle oceaniche in nome di una Russia democratica senza il peso dell’impero. Sappiamo tutti come è andata a finire.
Al parco della Vittoria, sabato, vi erano non più di 20mila comparse, precettate in gran parte dal posto di lavoro, che, dopo 20 minuti di forzata presenza in un pre-organizzato set cinematografico, sono fuggite via. La classica massa amorfa descritta da Blok. Dall’altra era schierata la società civile, colorata e gioviale.
Farò multare i miei che hanno portato troppa gente in piazza, ha promesso Putin, riferendosi a fantomatici 130mila sostenitori. Foto artatamente contraffatte hanno fatto il giro della Russia. Invero non è importante quanta gente realmente vi fosse al parco della Vittoria, bensì cosa far credere al Paese.
La fortuna di Vladimir Putin è che oggi l’opposizione raduna una galassia di partiti e movimenti diversi e non ha un leader unico. Le prossime presidenziali gli sono state semplificate con i soliti metodi dalla Commissione elettorale e non presentano candidati che lo possono impensierire. Non vincere al primo turno sarebbe per lui un colpo grave.
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