Dopo anni il grande “Progetto” sta andando in porto. Il Cremlino affianca alla monopolista del gas Gazprom il nascente gigante del petrolio Rosneft. La Russia si afferma così sempre più come esportatrice di materie prime. Ma non solo. L’obiettivo primario di riuscire a condizionare in qualche modo i prezzi a livello internazionale potrebbe avvicinarsi.
Da un paio di settimane il mondo della finanza e quello dell’energia sono letteralmente in subbuglio per la seconda maggiore fusione di compagnie petrolifere nella storia dopo quella del 1999 tra la Exxon e la Mobil.
Il colosso petrolifero Bp ha appena firmato l’accordo di massima con Rosneft per la vendita del 50% della joint venture TNK-BP. In cambio i britannici otterranno il 19,75% del capitale del neogigante russo e 12,3 miliardi di dollari in contanti. In futuro potranno contare su due posti (su un totale di nove) nel consiglio di amministrazione della Rosneft.
In parole povere la Bp esce da una società mista (la TNK-BP) con dei litigiosi miliardari russi, con cui i rapporti erano stati tesissimi, ed acquisisce quote in una società semi-pubblica – dove il Cremlino farà il bello ed il cattivo tempo -, ma con cui sono previsti importanti progetti per lo sfruttamento delle risorse dell’Artico.
La Rosneft chiaramente compra anche la quota di TNK-BP in mano ai miliardari russi, diventando la maggiore compagnia mondiale quotata per l’estrazione di petrolio (oltre 4 milioni di barili al giorno). L’intera Arabia Saudita ne produce circa 10.
Dopo il crollo dell’Urss nel 1991 il governo federale era riuscito a mantenere solo il controllo del mercato del gas, poiché troppo condizionato dalle poche condotte esistenti verso occidente. Quello del petrolio era finito in mani private o addirittura straniere.
La triste vicenda con al centro l’ex oligarca Michail Khodorkovskij, proprietario della maggiore compagnia privata del Paese – la Yukos -, ha riaperto i giochi. Dopo che il magnate è stato incarcerato in Siberia e la sua società smembrata, la Rosneft ne ha incamerato i bocconi più ghiotti a partire dal 2004.
Il Cremlino, in sintesi, riesce a riportare sotto il proprio controllo un’ampia fetta del mercato del petrolio nazionale. La “mente” dell’operazione è stata Vladimir Putin, ma il braccio operante è sicuramente il potentissimo Igor Sechin, anch’egli con un passato nel Kgb.
Tutti gli attori in causa alla fine paiono guadagnarci qualcosa, ma chissà se i compratori del petrolio russo saranno contenti. E’ difficile che lo siano, considerando gli enormi volumi che la Rosneft sarà in grado di gestire. Soltanto i prezzi alti dell’“oro nero” potranno permettere sia di garantire il bilancio statale russo (oggi il 55-60% delle entrate totali viene dal settore energia) sia di poter far fronte alle spese stratosferiche di estrazione nelle zone più remote del pianeta.
Alcuni analisti, però, buttano acqua sull’entusiasmo. I costi della fusione sono altissimi e negli ultimi anni la Rosneft non ha registrato profitti come la TNK-BP.
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