E’ passato alla storia col nomignolo di “mani tremanti”. Gennadij Janaev non riusciva proprio a trattenere l’emozione davanti alla stampa internazionale, mentre, il 19 agosto 1991, annunciava che Michail Gorbaciov era “ammalato” in Crimea ed il Comitato di salvezza nazionale (GKCP) assumeva il potere. Di lì a poche ore era in programma la firma del nuovo Patto dell’Unione e l’Urss avrebbe perso i pezzi. Alcune repubbliche sovietiche non ne volevano proprio sapere di rimanere sotto l’egida del Cremlino e l’accordo che Gorbaciov era riuscito a strappare ad alcuni leader nazionali era davvero il massimo che si poteva sperare.
Il Muro di Berlino era crollato nel novembre ’89, il Comecon ed il Patto di Varsavia, ossia l’organizzazione economica e quella militare dei Paesi comunisti, si erano appena sciolte. Gli “ortodossi” del Pcus non intendevano arrendersi al tramonto del loro mondo. Ma la Guerra fredda era irrimediabilmente persa e l’economia del Paese era allo sfascio con i principali beni di prima necessità razionati. Ricordiamo come se fosse ieri quando, alla fine del dicembre ’90, il capo della perestrojka chiese ufficialmente un vice. Tra lo stupore generale dei presenti e la sorpresa di milioni di ascoltatori della radio Gorbaciov fece il nome del semi-sconosciuto Janaev, già capo dei sindacati, il classico grigio burocrate, ma dall’impressionante pochezza politica. Eduard Shevardnadze, ex ministro degli Esteri e membro dell’ala democratica, iniziò ad urlare ai quattro venti che si andava verso “un colpo di Stato”. La sua era una facile profezia. Dopo pochi giorni gli Omon sovietici spararono sulla folla a Vilnius, in Lituania, provocando una strage.
In quei mesi di vice-presidenza Janaev restò apparentemente in secondo piano, manovrando dietro alle quinte. I “duri” del governo – detentori dei portafogli della cosiddetta “forza” insieme all’influentissimo Vladimir Krjuchjov, il capo del Kgb, – in realtà aspettavano il momento adatto per annunciare un “raffreddore” del sempre più isolato Gorbaciov. Credevano che si potesse ripetere l’operazione già riuscita nel 1964 quando Chrusciov venne sostituito da Leonid Breznev. Per precauzione, però, decisero di far entrare a Mosca i carri armati come a Budapest nel ’54 e a Praga nel ’68. Temevano la reazione dei “democratici”, raccolti intorno al presidente russo Boris Eltsin. Janaev, come poi lui stesso ammise, era ubriaco quando firmò il decreto per l’introduzione dello stato d’emergenza. Il golpe fu un totale disastro organizzativo con l’unità speciale, inviata ad arrestare Eltsin, giunta in clamoroso ritardo. I democratici, supportati da milioni di russi per le strade, vinsero in 48 ore. Janaev fu arrestato, ma in prigione ci stette poco tempo. Nel 1994 fu amnistiato. Gli 8 golpisti, del resto, avevano commesso un reato contro uno Stato che non esisteva più. “Mani tremanti”, ulteriormente intristito ed invecchiato, trovò impiego per sbancare il lunario come consulente di un comitato di veterani, poi, dopo qualche anno, gli fu offerta una cattedra in un’università secondaria. Janaev verrà ricordato come il cattivo protagonista di un mancato colpo di coda della storia.
Giuseppe D’Amato
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