Nessuno si faceva illusioni. Prima fra tutti Michail Khodorkovskij e Platon Lebedev che sapevano in anticipo che sarebbero stati nuovamente condannati, questa volta per frode allo Stato e riciclaggio. L’osservazione “il ladro resti in prigione”, pronunciata da Vladimir Putin alla vigilia della conclusione del procedimento giudiziario, aveva tolto quel 10% restante di incertezza.
Nessun imprenditore od oligarca russo, che ha operato negli anni Novanta, è senza macchia e può tirare la cosiddetta “prima pietra”. Senza paura di sbagliare si può tranquillamente affermare che Khodorkovskij e Lebedev non hanno commesso nulla di diverso da quanto fatto dai loro colleghi in quello stesso complesso primo decennio post sovietico in cui si sono formate e perse fortune gigantesche.
La differenza è che il duo della Yukos non è stato ai patti sottoscritti nella primavera 2000 dai principali magnati russi col Cremlino, anzi è arrivato persino ad offendere Putin. “Misha, fermati”, gli avevano intimato gli amici resisi conto che il giovane presidente era del tutto diverso dal malandato predecessore, Boris Eltsin.
Ed invece il testardo Khodorkovskij, credendosi invincibile, è andato avanti. Voleva entrare in politica ed aveva stretto un rapporto forte con i potenti circoli di Wall Street a cui intendeva vendere il 40% delle ricchezze energetiche dell’ex superpotenza. Conclusione: la Yukos è fallita, mentre Khodorkovskij è finito a cucire guanti nelle patrie galere in Siberia.
Nella storia russa è famosa la corrispondenza tra Ivan il terribile ed il principe Kurbskij. Quest’ultimo, dopo aver sfidato lo zar, era saggiamente fuggito all’estero, da dove si divertiva a stuzzicare con delle missive il potente moscovita, che lo invitava a rientrare in Patria per tagliargli la testa. Khodorkovskij, probabilmente, ha studiato male queste pagine della storia del suo Paese.
Il 2011 è un anno di campagna elettorale per le presidenziali di marzo 2012. Il potere si sarebbe trovato in libertà vigilata l’ingombrante Khodorkovskij, che secondo alcuni specialisti è riuscito a nascondere imponenti capitali e potrebbe voler cercare una rivalsa.
Washington e Berlino fanno bene a sottolineare il passo indietro compiuto dalla Russia sulla strada della democrazia e della costruzione di uno Stato di diritto. Ma finché si edificano gli Stati sulle personalità e non sulle istituzioni si rischiano queste scivolate.
L’Occidente ha bisogno di Mosca per rispondere alle sfide del XXI secolo. A Lisbona le ha proposto un accordo strategico, che se non colto al volo, rischia di far diventare la Russia la periferia della globalizzazione. Conti in sospeso o no, offese oltraggiose ed antipatie, è venuto il momento che anche nella sala dei bottoni moscovita capiscano che c’è un limite alla decenza. Se si vuole essere trattati da pari nel club dei Potenti del mondo bisogna raggiungere perlomeno “gli standard minimi”.
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