Con la morte del Patriarca Alessio II si chiude in Russia definitivamente il terribile XX secolo e crolla l’ultimo Muro, quello religioso, nella contrapposizione tra Est ed Ovest.
In queste ore l’ex superpotenza piange uno dei suoi grandi leader, che ha dovuto superare prove difficilissime, ma è riuscito, alla fine, nella sua missione di ridare il giusto posto alla Chiesa ortodossa nella società nazionale. Rispetto ai 18 monasteri e 7mila chiese del 1990, anno della sua elezione, il Patriarcato di Mosca ha oggi 142 diocesi con oltre 27mila parrocchie. La stragrande maggioranza dei 144 milioni di russi si dichiara ortodosso, prima era semplicemente ateo.
Alessio II è stato bravo e fortunato (per l’epoca nuova in cui ha diretto il Patriarcato) a non farsi stritolare nei meccanismi del potere moscovita. Ufficialmente, verso il tramonto della perestrojka, fu il primo capo della Chiesa russa ad essere eletto senza l’intervento del governo. Nel agosto ’91 si scagliò contro i golpisti vetero-comunisti, chiedendo la liberazione di Michail Gorbaciov. Nell’ottobre ’93 Boris Eltsin gli affidò l’impossibile compito di evitare lo scontro armato con il Soviet Supremo. A lungo il Patriarca scomparso è stato il saggio con cui i tre presidenti russi post sovietici hanno potuto consultarsi soprattutto nei tanti momenti difficili che ha passato il gigante slavo.
Vladimir Putin non ha mai fatto mistero di portare al collo una catenina con un crocifisso e non è mai mancato alle cerimonie ufficiali in occasione delle principali ricorrenze religiose. Il giovane Dmitrij Medvedev è notoriamente un credente ed è apparso assai commosso alla notizia della morte di Alessio. Sua moglie Svetlana, l’attuale “first lady”, si è distinta negli anni scorsi in vari progetti di beneficenza collegati alla Chiesa ortodossa.
Sono, quindi, passati secoli da quando il Cremlino dichiarava la guerra “all’oppio dei popoli”. Una bella fetta di merito ce l’ha proprio Alessio II, che è stato accusato più volte di essere stato un collaboratore del Kgb, il servizio segreto. Ma solo chi non ha vissuto sotto al comunismo non può capire quanto fosse complesso avere rapporti con quel tipo di sistema costrittivo. Anche la Chiesa cattolica in Polonia ha avuto disavventure simili.
Ma c’è di più oltre all’aspetto politico. Nel 2000, con l’approvazione della dottrina sociale, la Chiesa ortodossa russa ha tentato pure di scrollarsi di dosso la tradizionale immagine di “braccio” dello Stato, avvicinandosi alle necessità quotidiane dei fedeli.
Durante il suo Patriarcato Alessio II ha tentato in tutti i modi di difendere il proprio territorio canonico dai missionari di altri fedi, rischiando anche l’isolamento persino all’interno del mondo ortodosso orientale. Era conscio che la sua Chiesa, prostrata dal comunismo, non poteva competere con le altre chiese cristiane. Da qui il dissidio con il Vaticano per il “proselitismo” cattolico. E’ stato sempre lui a negare la disponibilità per un incontro con Papa Giovanni Paolo II. Eppure in questi anni la collaborazione a tutti i livelli tra le due gerarchie ecclesiastiche è stata fitta. Mancava sempre quell’ultimo passo decisivo, che si infrangeva davanti all’intransigenza di Alessio II. Adesso si volta pagina. I bocconi avvelenati del passato verranno messi finalmente da parte.
Dicembre 2008
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