L’uomo del dissenso, il nemico “numero uno” del potere comunista in Patria e poi lontano tra le montagne degli Stati Uniti. Aleksandr Solgenitsin era un matematico “sui generis”, datosi fin da giovane, anima e corpo, alla letteratura. Era l’anti-sistema per antonomasia, colui che mise a nudo le nefandezze del comunismo. “Io volevo difendere le tradizioni russe contro l’uniformismo del socialismo”, disse una volta in un’intervista.
Credente ortodosso, criticato perché considerato a torto un anti-semita, Solgenitsin è una persona che ha pagato duramente per la libertà del suo pensiero: otto anni nei campi di lavoro forzato tra il 1945 ed il 1953 e venti in esilio dopo essere stato cacciato con ignomia dall’Urss nel 1974.
Sono principalmente due i capolavori, che gli fecero acquistare fama mondiale: Una giornata nella vita di Ivan Denisovich, uscita sulla rivista “Novyj Mir” nel 1962, ed Arcipelago Gulag edito in tre volumi del 1973.
Nella prima, pubblicata durante il periodo chruscioviano, l’Occidente scoprì l’orrore del sistema sovietico dei campi di lavoro, da cui passarono milioni di persone. Le descrizioni di Solgenitsin sono terribilmente reali e non lasciano dubbi sulle tragedie raccontate. Per scrivere sulla medesima tematica la sua successiva opera, tradotta in 34 lingue ed edita prima in Occidente e vietata in Patria, l’autore intervistò ben 227 sopravvissuti ai gulag. Le loro identità restarono per anni segrete. Arcipelago gulag è un insieme di fatti storici, autobiografici con testimonianze di vario genere, un documento di accusa drammatico, che gli valse l’esilio. Solgenitsin, allora, aveva già ottenuto il Premio Nobel nel 1970. Il potere sovietico se ne infischiò dello scandalo internazionale che provocò la cacciata dello scomodo scrittore, che tornò in Patria solo nel maggio 1994 per iniziare subito una nuova crociata contro l’oligarchia, la speculazione imperante, la corruzione, insomma contro i mali della Russia post sovietica.
Importanti sono le prese di posizioni di Solgenitsin sulla storia nazionale. Non era vero – sosteneva lo scrittore in pieno contrasto con il mondo scientifico – che la Rivoluzione del 1917, che poi portò ad un sistema totalitario, aveva legami o origine nella cultura zarista di Ivan il Terribile e Pietro il grande. La Russia imperiale non praticava la censura, la polizia segreta era presente solo in tre grandi città ed il potere non era così violento contro la propria gente. L’Urss aveva oppresso la cultura russa in favore di quella atea sovietica. Il nazionalismo russo e la Chiesa ortodossa, quindi, non devono essere considerati oggi in Occidente come una minaccia bensì come un elemento positivo. Da qui, nei primi anni di questo secolo, l’avvicinamento a Vladimir Putin, ex agente del detestato Kgb. La soluzione migliore per il dopo Urss era la creazione di un’entità statale che unisse i tre popoli slavi orientali fratelli: russo, ucraino e bielorusso.
“La morte – ha sottolineato Solgenitsin in una delle sue rarissime interviste – è una naturale pietra miliare, che non segna la fine dell’esistenza di una personalità”. Si può star certi che un posto nell’Olimpo dei Grandi del XX secolo questo matematico, prestato alla letteratura, se l’è certamente guadagnato.
Giuseppe D’Amato
Agosto 2008
We are a group of long experienced European journalists and intellectuals interested in international politics and culture. We would like to exchange our opinion on new Europe and Russia.