Dopo due decenni di stop sono nuovamente ricominciate le Guerre Stellari. Stati Uniti e Cina sono i maggiori contendenti, con la Russia osservatrice interessata, pronta ad entrare in gioco. Giovedì 21 febbraio 2008, alle 4,26 ora dell’Europa centrale, un missile lanciato dall’incrociatore Usa Lake Erie, in quel momento in navigazione nel Pacifico settentrionale ad ovest delle isole Hawaii, ha distrutto nello spazio un satellite spia militare in avaria. Era da 22 anni che Washington non eseguiva un tale tiro al bersaglio al di fuori dell’atmosfera. Ufficialmente il Pentagono ha giustificato questa scelta con il timore che l’Us-193, grande quanto un mini-bus e pesante 9 tonnellate, potesse provocare danni rientrando sulla Terra tra la fine di febbraio e l’inizio di marzo. Il suo serbatoio conteneva l’idrazina, un combustibile altamente tossico. Da qui la decisione, presa dal presidente Bush in persona, dell’abbattimento.
Russi e cinesi hanno dato una lettura diversa: questo degli americani era, in realtà, un test camuffato per provare il sistema di difesa anti-missile, il cosiddetto “Scudo spaziale”, che gli Stati Uniti stanno rapidamente sviluppando un po’ ovunque nel mondo. Nei prossimi anni tre siti saranno installati in Repubblica ceca ed in Polonia, mentre varie stazioni radar sono già state dislocate nel Pacifico vicino alle coste dell’Estremo oriente russo.
Il test è anche una risposta all’analogo lancio, operato dalla Cina l’11 gennaio 2007, quando – dopo tre precedenti falliti tentativi – un missile, partito da una base nel bel mezzo dell’Impero Celeste, colpì un satellite meteorologico a circa 865 chilometri d’altezza. Le proteste occidentali – oltre che la sorpresa dei militari – furono, allora, veementi. Nell’impatto si crearono più di 150mila frammenti fluttuanti attorno alla Terra. Secondo gli specialisti ben 2600 sono catalogati come “grossi”, ossia della grandezza di una decina di centimetri.
La mancanza di una tecnologia per ripulire lo spazio, dove sono già un paio di milioni le unità di spazzatura, ha fermato questo tipo di esperimenti dopo gli anni Ottanta, quando le due superpotenze ne realizzarono circa una cinquantina. Gravi sono i pericoli per la navigazione. Un piccolo frammento nell’orbita più bassa ha un impatto su un satellite, con più o meno la stessa energia, pari ad una tonnellata di un pezzo di marmo gettato da un edificio di 5 piani.
“Praticamente tutti i resti del satellite sono bruciati nell’atmosfera”, hanno rassicurato i militari a stelle e strisce, esaltando la loro “trasparenza”. L’Us-193 è stato colpito da un missile cinetico, senza carica esplosiva. Proiettile contro proiettile. Secondo alcuni esperti indipendenti, tuttavia, il 25% dei frammenti è destinato a restare nello spazio.
La Marina Usa ha utilizzato un SM-3 “Standard”, capace di centrare obiettivi a mille chilometri di distanza ed ad un’altezza di 200 chilometri. Per gli specialisti russi, questa volta, gli avversari della Guerra Fredda hanno usato una sua versione modificata per l’occasione con una gittata superiore. Questa è ad esempio l’opinione del colonnello Andrei Vlasikhin. L’impatto è avvenuto a 247 chilometri dalla Terra. I puntatori della Lake Erie hanno avuto solo 10 secondi per fissare l’obiettivo.
Il sistema Aegis con gli intercettori SM-3 è in dotazione ad un centinaio di navi di vari Paese, tra questi Usa, Giappone, Corea del Sud, Spagna, Gran Bretagna e Norvegia. Dieci unità dovrebbero essere posizionate presto in Polonia. L’SM-3 serve come difesa da attacchi aerei, missilistici e di vettori a piccolo raggio.
“Anche noi russi – commenta Vlasikhin – abbiamo intercettori di uguale potenza come i Gazel e i Galosha. Possono arrivare a 300 chilometri d’altezza. Poi ci sono i sistemi stellari S-300 e S-400. I cinesi hanno utilizzato nel gennaio 2007 un S-300, da noi acquistato e poi da loro modificato”.
I militari di Mosca hanno osservato con particolare attenzione l’Us-193. “E’ un satellite spia non comune – ha spiegato Igor Barinov, vice presidente del Comitato Difesa della Duma -. Là non ci sono batterie cosmiche. Non si può escludere qualche marchingegno nucleare a bordo”. Secondo alcuni calcoli, invero tutti da verificare, il velivolo impazzito sarebbe dovuto cadere tra la Polonia e la Bielorussia. Gli americani non avrebbero voluto che i rottami dell’Us-193 potessero finire in mani non amiche. La scusa dei veleni ha fatto sorridere: in continuazione cadono sulla Terra sostanze nocive e non si registrano catastrofi ecologiche. Il Pentagono ha mostrato i denti, scrivono i quotidiani moscoviti.
La realtà è che gli Stati Uniti sono il Paese al mondo a dipendere più di tutti dai suoi satelliti – per scopi militari, meteorologici, commerciali, di comunicazione, di navigazione – e ciò li rende particolarmente vulnerabili. Uno studio cinese, che ha analizzato la guerra in Irak nel 2003, ha stimato che “gli Usa sono dipesi dai satelliti per il 95% delle informazioni di riconoscimento e di sorveglianza, per il 90% delle comunicazioni militari, per il 100% della navigazione e posizionamento”.
Di conseguenza, sta iniziando una frenetica corsa alla difesa di questi mezzi volanti preziosissimi, sostiene Igor Lisov, direttore della rivista “Notizie della cosmografia”. La prima cosa che si può fare è l’applicazione ai satelliti della tecnologia Stealth, quella già in uso ai modernissimi caccia Usa, per evitare di essere localizzati. “Materiali non rintracciabili dai radar, velivoli colorati di nero”, sintetizza l’esperto britannico Stuart Eves. Il problema è che i pannelli solari per le batterie e gli infrarossi utilizzati sono difficili da nascondere. La soluzione è progettare satelliti di nuova generazione dalle dimensioni ridottissime. Insomma macchine volanti miniaturizzate e trionfo delle nano-tecnologie. Altra possibilità è avere a disposizione una grossa quantità di satelliti sostitutivi da lanciare subito in caso di distruzione del proprio gemello.
Secondo gli analisti il vantaggio militare di Washington su tutti i suoi concorrenti è ancora assai ampio. Ma come affermò lo stratega Andy Marshall, assai ascoltato dal segretario alla Difesa Donald Rumsfield agli inizi del Duemila, le tecnologie mettono in condizione i Paesi più deboli di creare problemi agli Usa. E’ necessario ammodernare l’arsenale, altrimenti gli Stati Uniti faranno la fine della Francia con la sua linea Maginot a cavallo tra le due guerre. “I cinesi – sottolinea Andrej Ionin della Roel Consulting – hanno sparato da una base fissa a terra, mentre gli americani da una nave che può trovarsi ovunque negli oceani”.
Che i satelliti e le comunicazioni ad uso civile siano obiettivi sensibili se ne accorsero anche i quasi sempre distratti europei. Con lo scoppio della guerra in Jugoslavia nel ’99 mezzo Vecchio Continente restò al buio. Gli americani spensero il loro Gps, ampiamente usato fino ad allora anche dai loro alleati per la navigazione. Da quei giorni l’Ue porta avanti tra tante difficoltà la realizzazione del progetto Galileo, mentre i russi il Glonass. Controllare questi sistemi significa mettere in ginocchio un intero Paese.
Russi e cinesi sono consci che esiste un buco spaventoso negli accordi internazionali sulla sicurezza. Il Trattato sullo spazio extra-atmosferico (Outer space Treaty), firmato da Usa, Urss e Regno Unito ed entrato in vigore il 10 ottobre 1967, parla di divieto di posizionare in orbita armi nucleari e di distruzione di massa. Ma non si fa menzione di normali armi, ad esempio missili a medio e corto raggio. Così, ad inizio di febbraio a Ginevra alla Conferenza sul disarmo, Mosca e Pechino hanno proposto un patto che vada oltre il Trattato del ’67. “No alla militarizzazione dello spazio”, è lo slogan scelto per questa battaglia. Il ministro degli Esteri russo Serghej Lavrov vorrebbe allargare il già esistente Trattato Start.
Gli Stati Uniti hanno un punto di vista diverso. “Siamo per una uguale accesso allo spazio per scopi pacifici – ha dichiarato il portavoce della Casa bianca Scott Stanzel -. Ma contrari alla creazione di regimi legali o di altri accordi internazionali che cercano di limitare o proibire il nostro utilizzo dello spazio”. In sostanza, Washington vuole avere la mani libere e non ridurre le sue opzioni militari. Vi è anche il problema non secondario che un qualsiasi accordo in tale campo è assai difficile da monitorare. Una delle questioni da superare, dicono gli esperti, è anche la definizione di arma: i laser, ad esempio, sono un’arma?
Dal 2001 l’Amministrazione Bush ha investito sempre maggiori fondi per i programmi spaziali. Nel 2008 il presidente Usa ha chiesto al Congresso un aumento delle spese del 25%, passando da 4,8 miliardi di dollari nel 2007 a 6 miliardi. Si sta creando un disequilibrio che rischia di influenzare l’intero sistema strategico internazionale.
I militari statunitensi guardano con preoccupazione non tanto alla Russia – il cui arsenale sta invecchiando rapidamente senza essere degnamente sostituito – quanto alla Cina. Nel ’57, quando Mosca mise in orbita il suo primo velivolo, Mao Zedong si lamentò che Pechino “non era in grado di mandare nello spazio nemmeno una patata”. Da allora le cose sono cambiate: nel 1970 la Cina lanciò il suo primo satellite, nel 2003 il primo astronauta e nel 2007 il primo test ASAT. “Ha un livello maggiore di capacità di quanto precedentemente pensassimo”, si è lasciato sfuggire Michael Staine, un esperto di questioni orientali dell’Istituto Carnegie. Un tempo i progressi militari dell’Impero celeste erano legati alla filosofia di “smorzare i toni e tenere un profilo basso”. Adesso, a giudicare dai fatti, non è più così, malgrado le dichiarazioni ufficiali affermino il contrario.
La ferita di Taiwan continua a sanguinare. Pechino vuole indietro la provincia ribelle e se serve la forza la userà. La settimana scorsa fonti ai agenzia russa hanno raccontato di un incontro segreto tra alti ufficiali americani e cinesi per mantenere la pace. E’ recente lo sgarbo del rifiuto di concedere l’attracco a tre navi da guerra Usa. Il misterioso furto di materiale “classificato” sul missile nucleare Trident dai laboratori di Los Alamos nel ’99 mise la Cina nel mirino di Washington. Se non vi fosse stato l’11 settembre era l’Impero Celeste a rappresentare la massima urgenza in politica estera per l’amministrazione Bush, che, prima di riconsegnare il mandato, consegna all’industria militare nazionale – uno dei suoi “Grandi elettori” – copiosi fondi.
A torto o a ragione è davvero non facile dare un giudizio. Il progresso tecnologico sta mettendo in crisi tutti i trattati in materia di armamenti.
Giuseppe D’Amato
Primavera 2008
We are a group of long experienced European journalists and intellectuals interested in international politics and culture. We would like to exchange our opinion on new Europe and Russia.