Natalja Estemirova ha raggiunto Anna Politkovskaja nell’Olimpo dei giusti. Due donne, quasi coetanee, con un coraggio non comune che hanno dato la vita al servizio della verità e della difesa dei diritti umani. La prima: una russa di padre ceceno, insegnante di storia, tele-giornalista locale, attivista di “Memorial” . La seconda: la figlia di diplomatici sovietici di passaporto russo-americano, una reporter instancabile ed incorruttibile.
Tante le similitudini tra loro. La principale è che ambedue rimasero sgomente davanti agli orrori della seconda guerra caucasica, iniziata nell’autunno del 1999. Questa traumatica esperienza fece radicalmente cambiare il corso della loro esistenza. Da qui la volontà di gettarsi anima e corpo nella difesa dei deboli. Chi le ha conosciute racconta di due donne che sentivano di avere una missione da svolgere e che la portavano avanti senza mostrare di avere paura, nonostante le tante disavventure e le continue minacce subite.
Nella spiritualità orientale esiste la figura dei “jurodivye”, in italiano “pazzi per Cristo”: dei “folli” che abbandonavano tutto per l’ascesi religiosa e si attiravano il disprezzo della cosiddette “persone normali”. Spesso, proprio per il loro aspetto di stolti, ai quali viene tollerata una libertà di parola incredibile, essi osano rimproverare i potenti dei loro peccati. Natalja ed Anna assomigliavano ad una versione contemporanea di “pazze per la verità”.
Aver puntato un’arma contro delle donne è un’ulteriore elemento di riflessione. Una terribile novità per il Caucaso come furono, ad inizio decennio, le “vedove nere”, le giovani kamikaze cecene con le cinture dinamitarde sui fianchi.
La collaboratrice di “Memorial” è stata ammazzata con un primo colpo di pistola al petto in segno di disprezzo ed un altro successivo mortale alla testa. La stessa sorte era toccata in primavera a 13 altre donne. La società cecena, fondata sulla tradizione e sull’onore, è rigorosamente divisa in clan. Per secoli il “gentil sesso” ha avuto una posizione subalterna. Le recenti guerre hanno, però, provocato un autentico terremoto.
Dalla pallottola al petto si deduce che l’omicidio della Estemirova dovrebbe essere maturato in un ben preciso ambiente. L’attivista aveva avuto non poca visibilità anche quando si rifiutò di eseguire l’ordine dell’“uomo forte” di Grozny, Ramzan Kadyrov, che imponeva alle donne di girare per strada con un velo sui capelli.
Solo una manciata di persone coraggiose hanno sfilato al funerale dietro alla bara di Natalja Estemirova. Erano quasi tutte donne. Gli uomini, in pratica, non si sono visti. La paura impera in Caucaso settentrionale, dove, dopo la conclusione ufficiale dell’operazione anti-terrorismo, si è registrata, come denunciano le Ong, una vera impennata dei rapimenti e delle uccisioni dei civili. Il classico dopoguerra, insomma, con una lunga scia di sangue. La temuta resa di conti e faide ancestrali hanno avuto la meglio sul precario ordine pubblico.
Due sono le cose: o l’operazione anti-terrorismo non è mai in realtà finita malgrado gli annunci di giubilo del Cremlino; oppure ci si trova davanti a forze deviate all’interno dei poteri locali, come punta il dito “Memorial”.
La fine della guerra ha provocato la parziale chiusura del rubinetto dei finanziamenti straordinari federali in Russia meridionale. Mantenere la tensione alta serve a far scucire rubli al lontano Centro moscovita. La matassa da sbrogliare per il giovane presidente Medvedev si presenta davvero complicata ed in Russia oggi sono in pochi ad invidiarlo.
Giuseppe D’Amato
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