2009 La “Nuova Europa” al voto

26 Aug 2009

parlamentoeu

Astensionismo di massa, protesta e delusione. E’ questa la “nuova Europa” uscita dalle urne del voto continentale della scorsa settimana. Gli ultimi aderenti ai Ventisette hanno consegnato a Bruxelles tassi di partecipazione allucinanti con partiti xenofobi o anti-europeisti in sensibile crescita. Ma non era l’Est – ci si domanda per l’ennesima volta – ad aver fatto per decenni carte false pur di unirsi alla parte più ricca del Vecchio Continente? Vivere insieme significa dover essere pronti a dei sacrifici. Ed invece il “tutto e subito”, tipico delle culture dei Paesi usciti dall’incubo del comunismo, è un cattivo consigliere.

Un passo indietro è utile a comprendere le ragioni di questa evoluzione negativa. La posizione di partenza nel 2004, anno dell’ingresso di dieci Stati, va tenuta ben presente. Per quelli della Mitteleuropa l’adesione all’Ue è stata soprattutto una fuga da una situazione geostrategica complicata che, per troppo tempo, aveva influenzato negativamente i destini della regione. Per i balcanici, gli ultimi arrivati nel club nel 2007, è solo la speranza di un futuro economico migliore.

Mancano quasi completamente in queste società le classiche concezioni europeistiche, che hanno portato alla costruzione di ciò che abbiamo davanti. Probabilmente Bruxelles corse troppo in fretta ad abbracciare i fratelli meno fortunati dell’Est, non comprendendo a quali rischi politici si andava ad esporre.

Un po’ ovunque, nelle “Seconda Europa”, i partiti al potere hanno preso legnate sonore pagando per la grave crisi economica. Si guardi ad esempio all’Ungheria, uno dei Paesi più colpiti dalla recessione: i conservatori di “Fidesz” hanno ottenuto il 67% delle preferenze ed il partito anti-rom d’estrema destra “Jobbik” porterà ben due deputati a Strasburgo. Lo stesso numero di seggi avrà il bulgaro “Ataka”, che ha basato il suo successo sulla scelta di contrastare l’integrazione turca in Ue.

Posizioni non meno concilianti avranno gli ultranazionalisti slovacchi di SNS con un loro parlamentare. Dalla Polonia giungono notizie rassicuranti per l’Esecutivo liberale di Donald Tusk in lotta con il capo dello Stato conversatore Lech Kaczynski. Il prossimo anno i due leader regoleranno i conti in sospeso alle presidenziali. La sinistra resiste solo in Repubblica ceca ed in Lettonia, dove i comunisti riescono a far eleggere Alfreds Rubiks, per 6 anni in galera per aver tentato di rovesciare il primo governo democratico post sovietico del Paese baltico. Una riflessione è, però, urgente e le cancellerie dei Paesi fondatori, è bene, non la rimandino.

Come è possibile che in tutta Europa ci sia così tanto disinteresse per elezioni così importanti quando ormai è evidente che, al tempo della globalizzazione, il Vecchio Continente potrà dire la sua solo unendo le forze ed andando ad una vera unione politica? Nei singoli Paesi membri si guarda sempre più spesso all’Ue come alla panacea per complessi ed irrisolvibili problemi interni. Ma quali soluzioni forti possono giungere da un’Unione con rappresentanti eletti in alcuni casi da un quinto della popolazione?

Giuseppe D’Amato

Giugno 2009

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