“La ricostruzione del Bolshoj inizierà dal mese di maggio, ma l’edificio centrale verrà chiuso dal primo luglio 2005. I lavori finiranno entro marzo-aprile 2008. Questo tipo di intervento si era reso necessario da tempo e non si poteva più rimandare”. Anatolij Iksanov, direttore del teatro, ci ha accolto con squisita gentilezza nel suo ufficio. Da mesi è al centro di continue bufere. Il presidente Putin ha compiuto un sopralluogo per rendersi conto di persona della situazione. Il Bolshoj è uno dei simboli della Russia.
“La prima tappa della ricostruzione – ci spiega A.I. è già finita nel 2002, quando il 29 novembre dello stesso anno abbiamo aperto il secondo palcoscenico del Bolshoj e uno spazio per le prove. Adesso inizia la seconda tappa”.
Se i turisti stranieri verranno a Mosca in estate potranno ancora vedere il teatro? “Fino al primo luglio sì. Potranno sia visitare il palazzo del Bolshoj che vedere gli spettacoli. Dopo, potranno venirci a trovare al nuovo edificio che funzionerà regolarmente per i tre anni previsti per la ricostruzione di quello storico”.
Quali problemi avete incontrato per definire il progetto di ammodernamento del teatro. “Il nodo principale è stato quello di conciliare gli interessi per il mantenimento del palazzo come monumento architettonico e rendere possibile l’utilizzo delle tecnologie contemporanee per i teatri”.
Avete preso in esame le esperienze della Scala di Milano o la Fenice di Venezia? “Conosco le realtà della Scala, del Convent Garden, dell’Operà di Parigi. Ovunque, sono stato, ho visto ed ho analizzato. Il teatro Bolshoj è in un’altra situazione. Alla Scala vi è stata la possibilità di riunire il palazzo con l’edificio affianco e con un’altra torre. Non voglio giudicare. Tante sono state le discussioni. Al Convent Garden è avvenuto lo stesso: è stato occupato un edificio limitrofo. Al Bolshoj non si può intervenire in quel modo. Non possiamo mutare la vista qui intorno”.
Ed allora? “Possiamo solo guadagnare spazio allargandoci in basso per risolvere i problemi tecnologici. Sotto terra. Non c’è altra via uscita. Dietro al teatro ci sarà una zona pedonale. Sei istituti hanno lavorato per fornire soluzioni. Fin dal 1856, quando il teatro fu ricostruito dopo l’incendio vi sono stati problemi con le fondamenta. Per 150 anni sono stati un vero grattacapo e costantemente sono state rafforzate. Nel 1902 vi fu un piccolo cedimento tanto che la gente non riuscì ad uscire dalle logge. Negli anni ’50 si è persa un po’ di acustica. Ora si pone il problema di fare delle fondamenta che durino per 200 anni”.
Da quanto si apprende da fonti ufficiali e giornalistiche questa ricostruzione costerà tantissimo allo Stato russo. Si parla di cifre astronomiche. “Il progetto completo ha un costo calcolato di 25 miliardi di rubli (ndr. circa un miliardo di dollari). Lo Stato stanzierà una somma pari a 15 miliardi. Dobbiamo fare quindi riferimento a questa seconda cifra”.
Ma gli sponsor privati non contribuiranno? “I soldi degli sponsor servono per gli spettacoli e per la compagnia”.
In futuro, quale sarà l’immagine che darà il teatro Bolshoj di sé nel mondo? “Ritengo che rimarrà il maggior teatro d’opera russo”.
Che differenza esiste tra il Bolshoj ed il Mariinskij (ex Kirov) di San Pietroburgo, diretto da Gergiev? “Noi per un 60% rappresentiamo repertorio russo, mentre i pietroburghesi sono più orientati verso la cultura europea”.
Quest’anno avete proposto nel vostro tabellone un’opera moderna, un po’ diversa dal solito “I figli di Rosental”. Tante sono state le polemiche. “Sono contento che, per la prima volta dopo 30 anni, siamo riusciti a rappresentare un’opera che il teatro ha direttamente prenotato ad un artista ed ha compiuto il suo regolare corso. Un genere non si può sviluppare senza ordini nuovi. Sono contento delle tante discussioni sull’opera. Il prestigio di uno Paese dipende molto dal suo teatro. La Scala è l’Italia, L’Opera di Vienna è l’Austria. Il Convent Garden è la Gran Bretagna”.
La polemica intorno a “I figli di Rosental” è stata forte. “Tutte le opere nuove hanno difficoltà ad imporsi al pubblico ed alla critica. Anche il “Boris Godunov” nel 19esimo secolo ebbe un mucchio di critiche. La prima de“Il lago dei cigni” di Ciakovskij fu un disastro. Purtroppo, per la gente un’opera diventa un classico dopo decenni o dopo la morte dell’autore. Non ci sono profeti in Patria, si dice in Russia. Il Bolshoj non è un museo. La sua missione è lo sviluppo del balletto e dell’opera”.
Alcuni deputati hanno duramente criticato l’autore Sorokin ed il suo lavoro. “E’ solo ignoranza. L’1% della gente va a teatro. I deputati vogliono farsi pubblicità. Sarebbe stato meglio che perlomeno avessero letto il libretto. Il Bolshoj è uno dei simboli della Russia. Se fossero state organizzate le stesse cose per un altro teatro nessuno ci avrebbe fatto caso”.
Certo che i soldi per la ricostruzione sono enormi “Ho già detto che le due cose possono essere associate. Sono tanti gli interessi in comune”.
E come vi siete tutelati? “Fin dal principio ho affermato il principio che i soldi della ricostruzione devono essere gestiti da altri non dalla direzione del teatro. Non vogliamo avere nemmeno un copeco in mano. Io non sono un costruttore. Mi si può imbrogliare facilmente. Noi rappresentiamo spettacoli e verificheremo come va avanti il progetto. Il controllo rimane a noi”.
Non c’è un tentativo dall’alto di imporre una linea alla cultura? “A San Pietroburgo una compagnia è stata denunciata per aver messo in scena il Revisore di Gogol in una forma non classica. Mi chiedo se sia una tendenza generale o la stupidità di alcune persone singole. Io ritengo che sia fondata la seconda ipotesi. Anche se ci sto riflettendo da tempo. Qui al Bolshoj è venuto Putin, che ha visto i manifesti de “I figli di Rosental”. Non ha detto niente. Non c’è alcuna reazione ufficiale. Solo l’arte libera può dare aria alla società. In Russia il teatro è sempre stato una tribuna dove si poteva parlare in modo emozionale di cose che creavano problemi in politica. “I figli di Rosental” è un’opera per la società”.
Giuseppe D’Amato
We are a group of long experienced European journalists and intellectuals interested in international politics and culture. We would like to exchange our opinion on new Europe and Russia.