In silenzio, in ammirazione. Una donna fissa per lunghi minuti “La Sacra famiglia” di Andrea Mantegna. La mostra sul Rinascimento italiano è l’evento clou dell’anno al museo capitolino Pushkin. Un fiume di gente, soprattutto giovani, riempie le sale quasi tutti i giorni, ma nei fine settimana le file si allungano. La luce fioca cade sul quadro del maestro veneto in un ambiente sostanzialmente buio. Lo sfondo rosso delle pareti contribuisce a rendere l’atmosfera unica.
Il quadro del Mantegna era atteso con impazienza, poiché non vi sono sue opere nei musei russi. Particolare il destino di questo capolavoro. Dal 1945 al ’55 fu conservato proprio al Pushkin. Qualche mese prima di riconsegnarlo ai legittimi proprietari del museo di Dresda i russi organizzarono una mostra durata 5 mesi. “Ben 1,2 di visitatori – ricorda l’attuale direttrice del Pushkin Irina Antonova – vennero a vedere i tesori che sarebbero stati restituiti ai tedeschi”.
Ecco, quindi, in parte spiegata la grande attesa per godersi dal vivo questo capolavoro in olio della fine del quindicesimo secolo. Sue gigantografie capeggiano all’entrata di una delle gallerie più importanti del mondo. Alla biglietteria non si parla d’altro. Qualcuno sale di corsa una ripida scalinata di marmo, mettendo a dura prova il proprio fiato. Subito dopo lo stacco del tagliando d’ingresso il visitatore resta senza parole. La sala con il capolavoro è giusto di fronte, a qualche decina di metri, con quella saggia luce che illumina la meraviglia del Mantegna.
Farsi largo fra i tanti presenti e guadagnarsi una buona posizione d’osservazione non è facile. Bisogna attendere una manciata di minuti, rischiando qualche inavvertita spallata.
Il bambino in primo piano attrae subito l’attenzione. Il gioco dei colori lo mette ancor più in risalto rispetto alla sua naturale centralità nella rappresentazione. Ma tutte le figure, proposte su uno sfondo nero astratto, sono assolutamente a sé stanti. Il maestro veneto ottiene la concentrazione assoluta sull’uomo, che, come viene evidenziato dagli organizzatori della mostra, “è il maggior Dio dell’epoca del Rinascimento”. La tragica tensione di Giuseppe, la silenziosa pacatezza davanti alla sofferenza di Elisabetta (la madre di Giovanni Battista), il conquistante sentimento materno di Maria e la tranquillità infantile del Cristo, asseriscono i critici del Pushkin, non hanno analoghi nell’arte del suo tempo.
Mantegna (1461 – 1506) viene considerato il più “tragico e coraggioso” artista del primo Rinascimento italiano. Il suo amore per la civiltà latina è palese anche in questo capolavoro: il viso di San Giuseppe si avvicina a quello dei ritratti eroici sculturei del periodo della repubblica romana. I colori utilizzati creano un’espressione speciale di sentimento: solennità, gloria, ma anche dolore. Il restauro nel 2001 al J.Paul Getty Museum di Los Angeles ha davvero riconsegnato al capolavoro del maestro veneto tutte le sue splendide caratteristiche originali. Un fine vetro lo difende da flash fotografici e possibili attentatori.
Intorno al “La Sacra famiglia” sono posizionate opere di altri artisti rinascimentali quali ad esempio di Simone Martini, Dosso Dossi, Veronese, Vasari, Perugino. E’ un semplice assaggio che lascia comprendere la grandezza del Rinascimento italiano. I visitatori si accalcano anche intorno a queste bellezze alla ricerca del segreto di tali meraviglie.
L’amore dei russi per l’arte è un sentimento da sempre conosciuto. La collaborazione con gemelle istituzioni internazionali rende possibile l’organizzazione di mostre di così alto valore. In autunno il “Pushkin” si sdebiterà inviando un proprio capolavoro alla “Gemaldegalerie” di Dresda. La scelta è caduta su “La Sacra Famiglia e San Giovannino”, una tempera su tavola di Agnolo Bronzino. Il Rinascimento italiano impazza proprio nei musei di mezza Europa.
Primavera – Estate 2009
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