Qualsiasi decisione rischia di essere sbagliata. Il pericolo di passare dalla padella alla brace è dietro l’angolo. Ma lo si sapeva fin dallo scoppio della crisi, purtroppo. La “palude” siriana, con il suo crogiuolo etnico e confessionale, non ha forse vie d’uscita.
Non sorprende che alcuni autorevoli commentatori conservatori americani sostengano, ancor oggi, che sarebbe necessario intervenire soltanto in un futuro all’apparenza non prossimo, quando i fronti belligeranti – pro e contro Assad – cadranno prostrati a terra dalla fatica. Tradotto volgarmente: che si scannino pure, tanto laggiù non c’è il petrolio!
Sono troppe le partite che si giocano contemporaneamente, in Siria. Le principali sono tre. Una interna al mondo islamico, già osservata in Iraq, con i sunniti contro gli sciiti. Una esterna, geostrategica, in cui su un campo si fronteggiano occidentali e russo-cinesi e su un altro le potenze regionali emergenti (Arabia Saudita, Qatar, Turchia, Iran). La terza, tragica, umanitaria.
La seconda è in questo momento predominate. L’attacco chimico contro i civili è un’atrocità da Tribunale internazionale, ma in Siria fino a ieri non si scontravano degli angeli. Nel silenzio assordante della Guerra Fredda, ad inizio anni Ottanta, Assad padre fece tra 40 ed 80mila morti per sedare la rivolta sunnita. Il figlio ha battuto tutti i record. Altro elemento da considerare è che certe armi proibite sono già state utilizzate nei mesi passati, mentre il mondo faceva finta di niente.
La novità è semmai un’altra: Barack Obama si è reso conto che i russi, grandi protettori di Assad per mille pratiche ragioni, non sono partner affidabili e, dopo il caso Snowden, ha cambiato strategia, accelerando l’opzione militare.
La Casa bianca ha capito che il Cremlino non spingerà i tasti giusti in Medio Oriente, finché non si sentirà con le spalle al muro. Dislocando alcune unità della flotta Usa nel mar Mediterraneo orientale, Obama mostra i muscoli, lasciando intendere che ha perso la pazienza.
Attaccare da solo, dopo che le televisioni di mezzo mondo hanno già raccontato tutto al nemico, pare un azzardo dai risultati lacunosi. Rimanere lì con il fucile puntato potrebbe dare dei frutti migliori. Primo fra tutti, diplomatico.
Non è un caso che i russi, risvegliatisi d’impeto dopo settimane di nulla, abbiano richiesto una riunione d’emergenza del Consiglio di sicurezza dell’Onu, presentando una propria mozione. Dopo mesi nel dimenticatoio si riparla di Ginevra-2, ossia di Conferenza di pace per la Siria, finora bloccata dai veti incrociati. Non è nemmeno una coincidenza che Mosca abbia davanti a Tartu una squadra navale, dalle potenzialità invero limitate, proveniente dal Pacifico.
Obama ha già cancellato il vertice bilaterale al Cremlino con Putin, ma è stata annunciata la sua presenza a San Pietroburgo per il G20. Se i due leader in riva al Baltico non troveranno una qualche intesa saranno dolori non solo in Siria.
Giuseppe D’Amato
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