Dalla crisi in Crimea nasce il Vecchio Continente del 21esimo secolo: l’Ucraina di fatto entra in Ue e lo “scenario morbido” del post crollo dell’Urss, con le repubbliche ex sovietiche unite nella Csi, viene abbandonato.
Siamo di fronte non solo ad un brusco cambiamento degli equilibri geostrategici, imperanti negli ultimi due decenni, ma anche allo sgretolamento del mondo slavo orientale.
Dopo 360 anni di storia comune il divorzio dell’Ucraina con la Russia è ormai consumato e lo “Stato fuori dai blocchi, ponte tra Est ed Ovest”, voluto dal deposto presidente Viktor Janukovich, è un ricordo sbiadito.
Le nuove autorità di Kiev hanno firmato il capitolato “politico” del patto di Associazione economica con l’Unione europea, causa prima del moto di protesta che ha generato l’“EuroMaidan” e, per reazione, la conseguente annessione da parte di Mosca della Crimea (regione russa, “regalata” all’Ucraina da Krusciov nel 1954, a suggello dei 3 secoli di amicizia tra i due popoli slavi orientali).
Ufficialmente il Cremlino si opponeva a tale accordo, giustificandosi con future possibili difficoltà commerciali tra le due repubbliche ex sovietiche. In realtà il problema era di altro genere: avvicinandosi così tanto all’Ue, Kiev avrebbe fatto saltare la nascita di una specie di “mini-Urss economica” voluta da Putin entro il 2015.
Alla vigilia della firma di Bruxelles l’Ucraina ha rinunciato alla presidenza di turno della Csi, la comunità sorta dalle ceneri dell’Urss, ed anzi, come la Georgia dopo la guerra con Mosca nell’agosto 2008, ha scelto di ritirare la sua adesione all’organizzazione.
L’obiettivo di Kiev, è inutile nasconderlo, è quello di una piena entrata come membro effettivo nell’Unione europea. Nel 2007 l’Ucraina faceva fatica a comprendere perché Bruxelles avesse accettato Bulgaria e Romania, Paesi di simili complessità economica ed ambientale, ma strategicamente meno importanti soprattutto dal punto di vista energetico.
Ed a questo punto, dopo quello che è avvenuto in Crimea, altro scenario non è ipotizzabile. Serviranno pertanto marce forzate ed imponenti investimenti europei ed americani. L’aspetto politico è il meno preoccupante: a parte le baltiche, l’Ucraina è l’unica repubblica ex sovietica dove veramente ha attecchito la democrazia. Difficilissimo è invece quello economico-finanziario.
Stando agli ultimi calcoli è necessario una specie di “piano Marshall”, circa 70-80 miliardi di euro, nel medio termine per ammodernare il tessuto industriale ucraino, troppo vecchio per concorrere in Ue e troppo dipendente dalla Russia. Da 3 a 7 miliardi sono solo da destinare ai gasdotti costruiti in epoca sovietica.
Tutta questa pioggia di soldi dovranno essere investiti con lo scopo di portare l’Ucraina al livello della Polonia odierna.
Ed in ultimo. L’attuale partita geostrategica costringerà i membri dell’Ue a muoversi una volta tanto insieme. A Kiev, forse, è anche nata una politica estera comune.
Gda
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