Ucraina, i “Signori della grivna” si spartiscono il Paese.

17 May 2014

Sono le stragi di Odessa e Mariupol, più che il referendum sull’autonomia in Donbass e nella regione di Lugansk, a portare dei cambiamenti in Ucraina orientale. Le due tragedie sono state un volano per far assegnare agli occhi delle disorientate opinioni pubbliche locali punti agli argomenti strombazzati dalla penetrante propaganda televisiva russa. UkraineMap1

Il senso è chiaro e diretto. Primo: a Kiev c’è gente che usa la forza contro il proprio popolo. Secondo: al potere si sono insediati dei “fascisti”, nipoti degli storici nemici dell’Ucraina occidentale. Miglior benzina da buttare sul fuoco della destabilizzazione non poteva essere trovato.

La ragione delle file di elettori durante la consultazione organizzata dai filo-russi è semplice: a Mariupol vi erano in funzione soltanto una decina di seggi per mezzo milione di abitanti; a Donetsk, quasi 50 per un milione. Le liste elettorali sono state un optional.

Ad inizio crisi soltanto il 5% degli ucraini orientali guardava al Cremlino come soluzione per i problemi socio-economici. Adesso sono circa il 30%. I perché di questa brusca salita sono il vuoto di potere e la propaganda russa.

Ignorare la dimostrazione di pensiero di domenica 11 maggio è tuttavia foriero di sventure ed essa va contestualizzata sul piano interno e non su quello geopolitico internazionale in presenza di una posizione di attesa del Cremlino.

Capire chi sta dietro alla Repubblica popolare di Donetsk aiuta a comprendere cosa sta realmente succedendo. Il suo principale finanziatore è il presidente deposto Viktor Janukovich, riparato nella vicina Rostov, che del Donbass è stato a lungo governatore, poi referente politico. Contraddittorio è il comportamento del suo tradizionale sponsor Rinat Akhmetov, che guida un gruppo da 300mila persone, con interessi sia in Russia che in Europa. Infatti è per un’Ucraina unita, ma con l’Est fortemente autonomo da Kiev.

Secondo il politologo Taran, se prima Janukovich e Akhmetov agivano insieme, “adesso ognuno di loro ha un suo obiettivo”. Il primo potrebbe voler tornare in Patria come leader di un nuovo Stato. Il secondo, pare, non essere d’accordo ed avrebbe appena scelto Julija Timoshenko, come candidato per le presidenziali ucraine del 25 maggio.

Il favoritissimo magnate Poroshenko appartiene al gruppo rivale, radunatosi intorno agli oligarchi Firtash ed Kolomojskij. Quest’ultimo, governatore di Dnepropetrovsk, è la “stella” nascente. Si è inventato un modello per “contenere” i filo-russi con milizie locali.

A Mariupol, i separatisti hanno assaltato, distruggendola, la filiale della sua “Privatbank”. Dopo pochi giorni la Guardia nazionale di Dnepropetrovsk ha riportato l’ordine sul mare d’Azov, ma 7 persone sono morte negli scontri. Quindi sono uscite in strada le ronde, composte da lavoratori della locale mega-azienda di Akhmetov, indirettamente a difesa del secondo porto del Paese, da cui transita grano e l’acciaio esportato.

Ad Odessa, invece, i disordini del 2 maggio hanno fatto saltare il locale governatore-magnate, Vladimir Nemirovskij, vicino al premier Jatseniuk, che, prima di andarsene, ha denunciato come mandanti della tragedia al palazzo dei Sindacati gente vicina alla Timoshenko. Al suo posto è stato scelto Igor Palitsa, “braccio destro” – guarda caso – di Kolomojskij.

In conclusione, i “Paperoni” in dollari e grivne, insigniti da Kiev della carica di governatori dopo la fine del Majdan per mantenere insieme l’Ucraina, stanno sfruttando questa crisi per saldare conti in sospeso tra loro.

Il risultato può essere alla fine la “somalizzazione” della repubblica ex sovietica.

Giuseppe D’Amato

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