Riforme, democrazia, Europa. Ecco il significato del responso elettorale delle parlamentari anticipate ucraine. Tale risultato fa a pugni con il quasi contemporaneo discorso al club Valdai del presidente russo Vladimir Putin, che pare voler mettere in discussione oggi gli esiti della fine della Guerra Fredda, conclusasi nel 1991. Bruxelles ha insomma una bella gatta da pelare e non ha più scuse per non aprire il portafoglio con Kiev.
Una parte fondamentale di quello che era prima l’impero zarista e poi il mondo sovietico ha inviato un telegramma di sfratto al Cremlino. La bocciatura dei comunisti, che – per la prima volta dopo 96 anni – non avranno una propria rappresentanza nel Parlamento ucraino, è la definitiva certificazione della svolta. L’abbattimento dei monumenti a Lenin in giro per il Paese nei mesi scorsi è stato semplicemente il prologo di quello che è successo alle urne domenica 26 ottobre.
La Russia non riesce, al contrario, ancora a scrollarsi di dosso i vecchi idoli del passato e non sembra adattarsi alla realtà del 21esimo secolo, in cui Mosca è un giocatore regionale sì importante, ma non globale come nel XX secolo. Prima la sua dirigenza ne prenderà atto, meglio sarà per il gigante slavo.
L’isolamento internazionale di questi mesi è gravido di funeste conseguenze. Sarà essenziale soprattutto capire che anche se un popolo parla russo ed ha tradizioni simili questo non significa che abbia nel Cremlino il proprio punto di riferimento e condivida nostalgie da impero.
L’antica idea slavofilista è stata sconfitta in Ucraina e l’occidentalismo riformista si prende la rivincita dopo decenni di ritirate. Come nei secoli che furono, Kiev indica adesso a Mosca la strada del futuro. Putin lo sa benissimo: un’Ucraina pienamente democratica è una sfida al suo potere personale; cambiamenti radicali sono alle porte anche in Russia.
Per il duo Poroshenko – Jatseniuk sarebbe un peccato mortale perdere questa occasione. La lotta alla corruzione è già cominciata. Adesso è necessario de – oligarchizzare e modernizzare l’economia del Paese.
L’Ucraina si trasforma così in un laboratorio politico a cui il mondo guarda con interesse, ma senza i soldi dell’Occidente si farà poca strada in un momento in cui il Paese è sull’orlo della bancarotta e per metà è al freddo per le mancate forniture di gas da parte della Gazprom. Nei prossimi anni serviranno 80-100 miliardi. Indirettamente questa montagna di soldi fungerà da ancora per riportare la Russia nel novero dei partner e non degli antagonisti.
Un’ultima considerazione: gli ucraini hanno mostrato la loro definitiva scelta per la democrazia elettiva rispetto a giustificabili scorciatoie o, peggio, rispetto a vie autoritarie. Nonostante il rischio di vuoti pericolosissimi di potere e di non riuscire a fermare proprie regioni lanciate verso la secessione, Kiev ha deciso di tenere elezioni per ben due volte in 5 mesi. La sovranità appartiene al popolo e non alle oligarchie politiche od economiche è il messaggio dell’Ucraina post Maidan.
Giuseppe D’Amato
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