Vladimir Putin ha fatto bene i conti nel gettarsi nel ginepraio mediorientale? Gli aspetti da considerare nell’intervento in corso sono i più disparati: da quello economico a quello della sicurezza interna; da quello militare a quello politico-religioso.
L’economia russa si trova oggi a convivere con una crisi strutturale e con il fallimento del modello di sviluppo. La pioggia di proventi a catinelle, generati dalla vendita delle materie prime, si sta estinguendo facendo emergere scogli inaggirabili da due decenni.
I forzieri sono ancora pieni di dollari, ma questi potrebbero finire presto senza un allentamento delle sanzioni occidentali. Il tempo delle decisioni impopolari si avvicina, quindi. Ecco perché non è chiaro dove Putin troverà i soldi per la nuova guerra.
Colpire gli estremisti fuori dai confini patri significa inoltre tornare ad essere un bersaglio dell’“internazionale del terrore” come negli anni Novanta, quando gli attentati erano continui. I servizi di sicurezza hanno preparato filtri, collaudati in Caucaso, ma il sangue potrebbe scorrere ugualmente. La popolazione è disposta a ripiombare nella paura provata a lungo più di un quindicennio fa?
Come dimostrato in passato, i raid aerei sono poco effettivi senza un’azione terreste coordinata. La portata dell’operazione russa è per ragioni logistiche limitata. Cosa pensa di fare allora Putin di diverso dagli altri? Una fotografia a Palmira liberata dagli incivili che distruggono uno dei patrimoni dell’umanità? Per queste ragioni l’attuale operazione federale in Siria appare finora più che altro mediatica e con scopi diversi da quelli mediorientali.
Occupare mezza Ucraina fino a Kiev o abbattere lo Stato islamico, impiegando 50-100mila suoi uomini, è per Mosca possibile. Il problema semmai, come ha provato la tragedia afghana, è gestire un impossibile dopoguerra. Una tale azione, indubbiamente, servirebbe a levare pressione estremista dai confini meridionali dell’ex Urss.
Mosca si schiera ora apertamente con gli sciti (iraniani, alawiti, hezbollah, tagichi) contro gli interessi sunniti (sauditi in primis, in parte occidentali) in una regione in cui tutti combattono contro tutti, cambiando spesso bandiera, senza una logica di lungo respiro. L’unica sorpresa potrebbe essere rappresentata da un’azione terreste contemporanea vincente di tutte le forze scite locali, sostenute da Mosca. Allora la figuraccia occidentale sarebbe sì di proporzioni galattiche.
Per adesso, quello siriano sembra l’ennesimo abituale rilancio di Putin. Il problema è che, prima o poi, bisogna mostrare le carte che si hanno in mano.
gda
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