Dopo tanto attendere sono stati finalmente pubblicati i dati ufficiali. Il Pil è crollato del 7,9%, mentre nei 12 mesi precedenti era cresciuto del 5,6%. Era dai tempi dell’Urss che la ricchezza nazionale non subiva un tale arretramento. Nel 1998, quando la Russia fu costretta a svalutare pesantemente il rublo ed i forzieri della Banca centrale erano desolatamente vuoti, il Pil era sceso soltanto (si fa per dire!) del 5,1%. Troppi sono i settori, che hanno sofferto la crisi finanziaria. Su tutti spicca quello delle costruzioni (un tempo sembrava quello della “gallina dalle uova d’oro”) con un -16,4% (nel 2008 +11,9%).
Il modello di sviluppo industriale in Russia va rivisto al più presto per evitare futuri guai e sacche spaventose di povertà. Numerose produzioni, che si erano salvate dopo il crollo dell’Urss nel ‘91, non sono più concorrenziali. Il governo Putin studia da tempo soluzioni non facili da identificare. Cosa fare, ad esempio, nelle cosiddette “città mono-industriali”, sorte attorno ad un’unica azienda, che, ora fermandosi, mette a rischio la vita dell’intera collettività? Nell’immenso Paese slavo si contano circa 400 di queste realtà. Dall’ottobre 2008 ad oggi ben 940mila lavoratori sono stati licenziati. I disoccupati sono attualmente più di 2milioni e 100mila unità.
Negli ultimi mesi del 2009 la situazione è leggermente migliorata, poiché il Cremlino si attendeva una discesa del Pil tra l’8,5 ed il 9%. L’esportazione di petrolio, le cui quotazioni hanno raggiunto i 70 dollari al barile, ha permesso un leggero recupero. Il boom russo nei primi anni del secolo era dovuto principalmente all’aumento vertiginoso dei prezzi delle materie prime sui mercati internazionali. I proventi dell’export dell’“oro nero” equivalgono oggi al 25% del Pil federale, ma dovrebbero scendere al 14% in un decennio se la politica di diversificazione economica dell’Esecutivo avrà successo.
Il Cremlino si ritrova davanti ai soliti atavici problemi, rimasti in sospeso per troppo tempo. Il Pil federale tornerà ai livelli pre-crisi solo alla fine del 2012. L’economia russa incide non poco in quelle dell’intera area ex sovietica. In Asia centrale le ex repubbliche sorelle continueranno così a guardare con sempre maggiore interesse alla vicina Cina, sempre più assetata di materie prime. La perdita di influenza a tutto vantaggio di Pechino è la logica conseguenza.
I primi dati del 2010 indicano che l’economia russa è in sostanziale crescita. Secondo gli esperti il primo semestre darà qualche buon risultato, ma ci si attende una contrazione nel secondo. La Banca mondiale ritiene, comunque, che nel 2010 la Russia crescerà complessivamente del 3,2%. Più ottimistiche le previsioni del Fondo monetario internazionale: +3,6%.
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