International Policy


E’ difficile definire i moti kirghisi. Andare in piazza e spaccare tutto sembra quasi una cosa normale in un Paese in cui la democrazia stenta ad imporsi. L’endemica crisi economica, gli interessi locali e dei clan contrapposti nonché l’importanza geostrategica della repubblica sono una miscela davvero esplosiva.

Oggi, mai e poi mai, un osservatore potrebbe immaginare che il Kirghizistan – Kirghisia in italiano – pareva destinato a diventare una specie di “Svizzera” dell’Asia subito dopo il crollo dell’Urss nel ‘91. Allora brillava la “stella” del presidente Askar Akaiev, preso in simpatia da Washington, per l’appoggio incondizionato che diede a Michail Gorbaciov e a Boris Eltsin ai tempi del golpe dei vetero-comunisti. Questa terra, abitata per secoli da nomadi dediti alla pastorizia, comparve così prepotentemente sulle carte geografiche del mondo finanziario internazionale, diventando il laboratorio principale per le riforme liberali nell’ex Urss.

Nel ’93, grazie agli aiuti, soprattutto giapponesi, la Kirghisia fu la prima repubblica sovietica ad uscire dall’area del rublo, tanto che 5 anni dopo fu inserita di diritto nel Wto, l’Organizzazione del commercio mondiale, di cui, ancora ora, nemmeno la Russia fa parte.

Come sia avvenuto il crollo non è facile spiegarlo. I primi colpi allo Stato centrale vennero inferti dai radicali islamici. Ma anche il boom economico non si è mai realizzato nei fatti. Gli investitori stranieri non hanno dato seguito al loro interesse.

La “stella” dell’illuminato Akaiev si è così spenta nel 2005 con la “rivoluzione” (pro-occidentale) “dei tulipani”, che ha segnato il cambio di potere con la solita rivolta nelle strade e la successiva elezione di Kurmanbek Bakiev. La Kirghisia sembrava destinata a riprendere il suo corso democratico in un’area in cui i capi di Stato sono dei veri autocrati, ma possono contare sulle ricchezze del sottosuolo, cosa che Bishkek non ha.

Bakiev è stato, però, contagiato dai suoi colleghi asiatici ex sovietici. Il nepotismo ha iniziato a farla da padrone, i suoi alleati sono stati allontanati dal potere, la corruzione è tornata ad imperversare in un Paese in cui gli interessi delle regioni e dei clan sono spesso opposti.

Le ragioni di questa rivolta sanguinosa sono, quindi, principalmente interne. La grave crisi economica internazionale ha fatto mancare le rimesse delle centinaia di migliaia di kirghizi, emigrati soprattutto in Russia, ora senza lavoro. Il salario medio mensile si aggira sui 130 dollari.

Non è un caso che entrambe le rivolte siano scoppiate all’inizio della primavera e in aprile in particolare: gran parte della popolazione kirghiza è costituita da allevatori e contadini e questa classe sociale sta soffrendo molto. Per contadini e allevatori è il periodo più difficile: le scorte invernali sono ormai finite, ma la natura non si è ancora risvegliata, i soldi scarseggiano, prima che gli animali ingrassino e possano esser venduti e le coltivazioni dare i primi frutti. In più il 21 marzo è Nooruz, celebrazione del solstizio di primavera, festa religiosa musulmana ma con radici pagane, che «drena» le ultime finanze familiari.

L’aumento del prezzo della benzina, causato dall’incremento dei dazi sul petrolio da parte di Mosca, è stato il detonatore  ultimodella protesta. Ma il fuoco covava sotto la cenere già da tempo. Bakiev, originario del sud, è accusato di non aver mantenuto le promesse del 2005.

Il presidente voleva passare i suoi incarichi al figlio Maksim, che con la sua Agenzia di sviluppo ha tolto importanti risorse al governo. L’opposizione ha approfittato della sua assenza in Patria per bloccare immediatamente anche l’attività di alcune banche. Il clan Bakiev ha visto così i propri mezzi finanziari ridursi.

Il premier russo Putin, amico di Akaiev, non ha mai realmente sopportato il collega kirghiso, anche per il “tira e molla” per la base aerea Usa di Manas – a cui venne dato prima lo sfratto (quando Bishkek ottenne un consistente prestito russo) salvo garantire, in un secondo tempo, l’allungamento dell’affitto. 

 Gli strateghi pongono in evidenza che, dopo il cambio di potere in Ucraina ed adesso i moti kirghisi, le cosiddette “rivoluzione colorate” pro-Usa che tanto intimorirono il Cremlino stanno morendo una dopo l’altra. Il solo georgiano Saakashvili resta in sella.
Giuseppe D’Amato

Vedi anche Kirghisia: la rivoluzione rosso sangue, EuropaRussia 08.04.2010

 

 

E’ stato un bagno di sangue. Morti e feriti ovunque in Kirghisia. Assalti ai palazzi governativi, saccheggi, sparatorie nelle piazze. La rivolta è iniziata a Talas il 6 aprile, per poi spostarsi il giorno dopo nella capitale Bishkek. Prima di passare alle vie di fatto la folla protestava per l’aumento del prezzo della benzina, per le difficili condizioni economiche in cui versa l’ex repubblica sovietica, per la corruzione e per il nepotismo del potere.

 Il presidente Bakiev, costretto alla fuga dalla capitale, è accusato di non aver mantenuto le promesse della cosiddetta “rivoluzione” (pro-occidentale) “dei tulipani” del 2005, quando, in una situazione simile a questa, venne rovesciato l’allora presidente Akaiev. L’opposizione ha creato un governo di “fiducia nazionale” con alla testa Rosa Otunbaieva, leader del partito social-democratico.

 “Bakiev è vittima dei suoi stessi modi”, ha detto il premier russo Putin, ricordando quanto avvenuto 5 anni fa. Mosca ribadisce che i moti kirghisi sono “una questione interna”.

 La remota Kirghisia, estesa quanto l’Islanda con 5,3 milioni di abitanti incastonata tra il Kazakhstan e la Cina, è una pedina strategica fondamentale nello scacchiere internazionale. Dal 2001 Washington dispone della base aerea di Manas, indispensabile per dare aiuto logistico alle truppe Nato in Afghanistan, distante solo 500 chilometri. Da qui – e i russi lo ricordano spesso -, con un potente radar, si controlla lo spazio aereo della Cina settentrionale. Nel recente passato Bakiev ha prima litigato con gli Usa chiedendo la chiusura di Manas, ma poi ha finito per ottenere, nel giugno scorso, un consistente aumento dell’affitto. Contemporaneamente ha consentito a Mosca l’apertura di una seconda base dopo quella di Kant, che dista solo 50 chilometri da quella americana.

 Nei giorni passati il segretario dell’Onu Ban-Ki-Moon, in visita nel Paese asiatico, aveva criticato il potere per la crescente stretta sui mass media e per gli arresti fra i leader dell’opposizione.

Vedi anche Golpe, rivoluzione o semplice sommossa, EuropaRussia.

 

Una delle due kamikaze della linea rossa della metropolitana di Mosca era una ragazza di 17 anni, Jennet Abdurakhmanova, vedova di un cosiddetto “signore” della guerra daghestano, ucciso dalle forze federali il 31 dicembre 2009. Con lei la suicida aveva una lettera d’amore, scritta su carta araba (difficilissima da trovare in Caucaso), che terminava con la frase “ci incontreremo in Paradiso”. Questi i primi elementi in mano agli specialisti dell’anti-terrorismo, pubblicati dalla stampa russa. Come raccontano gli studiosi, i Signori della guerra hanno in genere dalle 10 alle 12 mogli.

 Le “vedove nere” sono uno dei peggiori prodotti del terrorismo in Caucaso. Mai nella storia e nelle rigide tradizioni di queste regioni uomini e donne sono state così uguali. Una vera rivoluzione importata dall’estero!

 E’ negli anni Novanta che i cosiddetti “salafiti” di origine araba hanno iniziato a fare proseliti, sfruttando anche la grande disponibilità di fondi e l’endemica crisi economica in Caucaso. L’islamismo secolare, tipico di queste latitudini, è stato così sconvolto da una cieca ondata di fondamentalismo.

 La società cecena, divisa in clan, è profondamente maschilista. La donna ha una posizione subalterna. Vive una vita tutta sua, appartata ad educare i figli piccoli.

 Ma in Caucaso nelle nuove generazioni, abituate a quasi due decenni di guerra, molto è cambiato. Questa gente è abituata a combattere e a morire e non fa riferimento agli anziani come avveniva prima. I giovani hanno preso tanto potere, un fatto contrario alle tradizioni. Adepti caucasici sono stati poi inviati ad istruirsi ai dettami religiosi all’estero: Emirati arabi, Arabia Saudita, Pakistan e Turchia.

 Con la vittoria dei federali nella guerra in Cecenia gli estremisti locali e quelli stranieri si sono spostati nelle repubbliche limitrofe, portando con sé la “jihad”, che mira alla costituzione di un “emirato del Caucaso”. Non si è più di fronte ad una guerra di liberazione contro i russi, ma alla lotta santa. La discriminante non è più la nazionalità, ma la religione. Anche un russo convertito all’Islam può essere parte della causa comune. Non a caso per gli attentati della metropolitana di Mosca sono ricercate persone con la fisionomia slava.

 I collegamenti con le centrali internazionali del terrore, in primis Al Qaeda, sono denunciati dai russi e confermati da fonti americane. Ecco perché il tandem Medvedev-Putin ha una brutta gatta da pelare.

Vedi anche Mosca: bagno di sangue nel metrò, EuropaRussia; Russia: i falchi come risposta al terrorismo? EuropaRussia; Cecenia: vince la pax russa. Primavera 2009, EuropaRussia.

 

 

 

 

 La notizia tanto attesa è arrivata. Il prossimo 8 aprile presidenti Medvedev ed Obama si incontreranno a Praga, città simbolo della Guerra Fredda, per firmare il nuovo Start. L’annuncio ufficiale è stato pubblicato contemporaneamente sui siti del Cremlino e della Casa bianca dopo l’ultima decisiva conversazione telefonica tra i due capi di Stato.

 Qualche settimana fa il presidente ucraino Janukovich aveva proposto di organizzare la firma a Kiev: la Russia sembrava d’accordo, gli americani no. La documentazione con le richieste ufficiali di autorizzazione per l’organizzazione dell’evento a Praga sono state consegnate mercoledì scorso. Il presidente ceco Klaus ha dato il suo immediato assenso.

  L’accordo stabilisce un tetto di 1.550 testate, 800 vettori, 700 tra missili balistici intercontinentali e quelli a bordo dei sottomarini ciascuno. I russi riducono il loro attuale arsenale di circa il 30%, gli americani del 25%. Il vantaggio economico è enorme: verranno spesi meno soldi per la manutenzione e ve ne saranno di più per lo sviluppo di armi più moderne. Si evita così che appaiano terzi incomodi che ne approfittino dei due litiganti. Tanto russi ed americani hanno armi da poter distruggere il mondo migliaia di volte ed un vantaggio tecnologico che, per decenni, sarà incolmabile.

 “Sono stati rispettati gli interessi dei due Paesi”, ha sottolineato Medvedev. La conclusione dell’accordo segna per il capo del Cremlino “il passaggio della cooperazione bilaterale ad un più alto livello”. Il presente accordo è, per Barack Obama, il più ampio documento concordato in due decenni.

 Il nuovo Start dovrà essere ratificato dai rispettivi Parlamenti dopo la firma di Praga. “Entro aprile” in contemporanea, ha proposto il ministro degli Esteri Serghej Lavrov. I russi temono imboscate ad Obama dei repubblicani in Senato. Sono riusciti finalmente a vedere legalmente riconosciuto il nesso tra armi offensive e sistemi di difesa anti-missilistici.

 Russia e Stati Uniti “inviano un segnale sul loro ruolo di leadership”, ha evidenziato il presidente Usa. Il 13 aprile Medvedev ed Obama si presenteranno a Washington alla Conferenza internazionale sulla sicurezza nucleare, poi in maggio a quella sulla proliferazione, con un’investitura morale che nessun leader ha mai avuto nella storia. Indirettamente lo Start-3 è un chiaro messaggio ad “Iran e Corea del Nord” e a quanti vogliano dotarsi illegalmente di armi letali.

 Per Barack Obama questo accordo è il primo passo verso la realizzazione di quel “mondo senza armi nucleari” di cui il presidente Usa parlò proprio a Praga il 5 aprile 2009. Il capo della Casa bianca ha più volte ripetuto che ci si arriverà tra molti decenni. Questo è solo l’inizio.

Vedi anche Tra Start e Scudi – Dossier sempre su EuropaRussia.

 

 

 

President Obama and President Medvedev agreed to meet in Prague, the Czech Republic, on Thursday, April 8, to sign the Treaty on Measures to Further Reduction and Limitation of Strategic Offensive Arms (the “New START Treaty”).

Statement

Дмитрий Медведев и Барак Обама встретятся в Праге для подписания нового договора о сокращении и ограничении стратегических наступательных вооружений апреля 2010 года.

статья

 The Arctic belongs also to Russia. Restrictions on Moscow’s access to the development of hydrocarbon fields in the Arctic, which accounts for over 25% of global oil and gas reserves, is unacceptable, President Dmitry Medvedev said at a session of the presidential Security Council.

The Arctic BBC world News

“We have seen attempts to limit Russia’s access to the exploration and development of Arctic deposits which is of course unacceptable from a legal point of view and unfair from the point of the geographical location and the very history of our country,” Medvedev highlighted and stressed that “polar countries are taking active steps to expand their economic and even military presence in the Arctic zone.”

The five Arctic nations — Canada, Denmark, Norway, Russia and the United States — are locked in a tight race to lay claim to vast riches believed to be hidden beneath the ice and snow in the Arctic.  They have claimed overlapping parts of the region estimated to hold 90 billion untapped barrels of oil. Under international law, each of the five Arctic Circle countries has a 322-kilometer (200-mile) exclusive economic zone in the Arctic Ocean.

 Medvedev did not specify which nations his comments were addressed to. Russia claims a large part of the Arctic seabed as its own, arguing that it is an extension of its continental shelf. Moscow has undertaken two Arctic expeditions – to the Mendeleyev underwater chain in 2005 and to the Lomonosov Ridge in the summer of 2007 – to support its territorial claims in the region.

It first claimed the territory in 2001, but the United Nations demanded more conclusive evidence.

Russia has said it will invest some 1.5 billion rubles ($50 million) in defining the extent of its continental shelf in the Arctic in 2010.

 In 2008, Medvedev signed an Arctic strategy paper saying that the polar region must become Russia’s “top strategic resource base” by the year 2020.

The document called for strengthening border guard forces in the region and updating their equipment, while creating a new group of military forces to “ensure military security under various military-political circumstances. “It said that by 2011 Russia must complete geological studies to prove its claim to Arctic resources and win international recognition of its Arctic borders.

 The Kremlin is officially against any arms race in the Arctic. In summer 2009 Denmark announced its plans to establish an Arctic military command and a task force.

MAP By BBC

Trattato Start e Scudi non strategici regionali. In queste settimane la comunità internazionale sta scegliendo la nuova architettura militare per il 21esimo secolo. I contatti ufficiali ed informali sono febbrili e segreti. Sta nascendo il nuovo mondo post Guerra Fredda.

 A Ginevra i negoziatori delle due superpotenze del Ventesimo secolo sono vicini a chiudere il nuovo Start, sulla riduzione degli armamenti strategici, scaduto il 5 dicembre scorso. Russi ed americani avranno 1.500 testate nucleari operative a testa. E’ stato definito poi un complesso sistema di controlli.

 Il 12 aprile, affermano fonti moscovite, il nuovo trattato verrà firmato a Washington prima del summit sulla sicurezza nucleare. La ratifica parlamentare, però, dovrà avvenire in contemporanea. I veri grattacapi ce li ha Obama, che al Senato può contare oggi solo su 59 voti e per approvare lo Start – i cui aspetti negoziali pubblici sono stati criticati dai repubblicani – ne servono 67 su 100. Obama vorrebbe risolvere il problema prima delle elezioni d’autunno. Il Cremlino, però, non si fida. Ha tra le mani un accordo che considera inaspettatamente vantaggioso dopo anni di ritirate.

 Ma potrebbe essere la vittoria di Pirro. Barack Obama ha rivoluzionato la strategia Usa: ha rinunciato allo Scudo spaziale globale di Bush (quello contro i missili intercontinentali) per ragioni economiche e tecnologiche; ha dato il via libera a quelli “non strategici” regionali – più pratici ed in funzione in breve tempo. Il pericolo ufficiale è l’Iran con i suoi missili a corto e medio raggio. Stati Uniti e Russia non ne dispongono dal 1991.

 Il Cremlino è stato così preso in contropiede. In Europa centro-orientale è iniziata la corsa alla partecipazione a questi sistemi. La Polonia ha accettato di ospitare a Morag (nei pressi del confine russo) i “Patriot-3”, venendo in questo modo ricompensata per la perdita settembrina dei 10 intercettori dello Scudo spaziale. Romania e Bulgaria hanno fatto altrettanto a metà febbraio. Durissime note diplomatiche si sono scambiate Mosca e Sofia, un tempo storiche alleate.

 Durante la Guerra Fredda le due superpotenze si erano accordate per limitare lo sviluppo delle difese anti-missilistiche con lo scopo di rafforzare la deterrenza nucleare. Ma adesso il pericolo viene da lanci di terzi.

 Questi “mini-Scudi” locali, su cui il Cremlino ha chiesto chiarimenti, non sono in grado di fermare i missili intercontinentali (a lungo-raggio). Come tutta risposta la segretaria di Stato Usa, Hillary Clinton, ha addirittura ipotizzato una Russia all’interno della Nato. La Casa bianca è pronta a far partecipare subito Mosca alla partita. A Bruxelles alti ufficiali dell’Alleanza atlantica si sono appena incontrati con quelli russi per discutere gli aspetti tecnici.

 Contemporaneamente ha colpito la quasi non-curanza americana per la possibile vendita di 4 navi francesi della potentissima classe “Mistral” a Mosca. Un affare semplicemente epocale. Il Cremlino sarebbe in grado di risolvere una crisi tipo quella georgiana in poche ore. L’intero Baltico, futura dislocazione delle unità, è in subbuglio.

 Ma alla Casa bianca si punta al bersaglio grosso. Si è aperta la possibilità di creare più difese anti-missilistiche regionali comuni a Russia, Nato e Stati Uniti. Evidenti le conseguenze per l’intero pianeta. Dalle parole si sta pongono le fondamenta per la stabilità strategica europea. Il nodo cruciale è se il Cremlino – messo al corrente a giochi fatti – accetterà di essere un membro di questo accordo e non il protagonista principale.
Giuseppe D’Amato

I rapporti franco-russi sono tornati normali dopo la crisi georgiana dell’estate 2008. Parigi e Mosca stringono affari commerciali vantaggiosi ed accordi militari di un’importanza inusuale, guardando ad un futuro prossimo con una minore influenza Usa nel Vecchio Continente.

La società GDF Suez è entrata nel consorzio per la costruzione del gasdotto a conduzione tedesca North Stream con una quota pari al 9%. In precedenza, in dicembre, l’EDF aveva fatto ingresso in quello del South Stream – capitanato dall’italiana Eni –. Entrambi questi mastodontici progetti sottomarini mirano a garantire una maggiore stabilità nelle forniture energetiche russe all’Europa, evitando il passaggio sul territorio di Paesi terzi come Ucraina e Bielorussia.

I tre giorni del presidente Medvedev a Parigi sono stati ricchi di appuntamenti. Accompagnato da un centinaio di imprenditori, il capo del Cremlino ha cercato investitori e compagnie che portino tecnologia in Russia. Le maggiori discussioni hanno riguardato il settore automobilistico con la Renault e quello delle costruzioni per le Olimpiadi di Sochi 2014. Incoraggianti i risultati in campo culturale (il 2010 è l’anno della Francia in Russia e viceversa) ed in quello spaziale con l’utilizzo dei vettori Sojuz per il lancio di satelliti transalpini.

La Francia sta valutando la vendita di 4 navi da guerra della classe Mistral da dislocare nel mar Baltico. In poche ore i russi potrebbero essere in grado di trasportare un grosso numero di truppe. Mai in passato un membro della Nato aveva messo in preventivo una scelta del genere. I Paesi baltici hanno reso noto la loro contrarietà ed hanno chiesto un intervento di Washington. “Sarebbe il simbolo della nostra fiducia”, ha dichiarato il presidente Sarkozy.

Il collega Medvedev si è detto disponibile a sanzioni “intelligenti” contro l’Iran. Il trattato Start tra le due superpotenze della Guerra Fredda, scaduto nel dicembre scorso, dovrebbe chiudersi presto. Su questo ultimo punto una fonte dell’Amministrazione Obama ha confermato che gli Stati Uniti si preparano ad una riduzione spettacolare del loro arsenale nucleare, mantenendo, però, la deterrenza.

Dietro alle quinte ci si sta preparando alla costruzione degli Scudi, ossia delle difese anti-missilistiche, considerando che Paesi, definiti un tempo “canaglia”, hanno ormai sviluppato tecnologia in grado di colpire a medio raggio. Ecco il perché, per la rabbia del Cremlino, Paesi come Romania e Bulgaria sono disponibili ad ospitare pezzi dello Scudo USA e la Polonia è pronta a dislocare altri tipi di armi americane sul suo territorio.

Пять лет после оранжевой революции Виктор Янукович приступил к исполнению обязанностей главы украинского государства в Киеве в 25 февраля.

 Инаугурация четвертого президента происходила в Верховной раде в пустом на одну треть зале заседаний, ряды депутатов от «Блока Юлии Тимошенко» (БЮТ) были пусты. Премьер-министр, уступившая Януковичу победу на выборах с разницей в 3,5% голосов, но так и не признавшая своего поражения, также отсутствовала на церемонии. Отказались почтить вниманием торжество первый и третий президенты Украины Леонид Кравчук и Виктор Ющенко. Зато на инаугурации присутствовал второй президент Леонид Кучма, объявивший своим преемником Виктора Януковича еще на предыдущих президентских выборах в 2004 году. В 2005 году на инаугурации Виктора Ющенко присутствовали и Кучма, и Кравчук.

 Глава Миссии ОБСЕ Жоао Соареш описывал второй тур президентского голосования на Украине как «очень впечатляющий пример демократических выборов». По многим специалистам, Украина является самой развитой демократией в пост-советском пространстве.

  В президентской речи Янукович обозначил свои главные приоритеты: реформа правительства, сокращение аппарата, создание “дееспособной исполнительной власти, которая немедленно займется наиболее пораженными отраслями экономики и социальной сферы”, а также создание “сильного и стабильного парламентского большинства”. Задачи у него трудновыполнимы.

  Эксперты утверждают, что для Януковича важно отобрать у Тимошенко административный ресурс как можно скорее. Иначе она снова проведет в парламент крупную фракцию, а также добьется победы на местных выборах всех уровней. И президент останется в изоляции, окруженный лагерем политического противника.

  Последствия экономического кризиса очень тяжелые. С мая 2008 по май 2009 средняя заработная плата на Украине выросла с 1735 до 1845 грн (выросла на 6,34 %), однако из-за девальвации гривни средняя зарплата в долларовом эквиваленте сократилась с $343 до $240 (снизилась на 30 %). За январь-апрель 2009 года падение промышленного производства  составило 31,9 % в сравнении со средним показателем по СНГ 9 %; прирост инфляции составил 19,1 % (в годовом исчислении); объём розничного товарооборота  упал на 14,4 %. В ноябре 2009 года Международный валютный фонд решил приостановить предоставление финансовой помощи до проведения президентских выборов из-за отсутствия консенсуса между властями в сфере бюджетной политики.

  Янукович в своей речи подчеркнул, что Украина продолжит интеграционные процессы с ЕС и постсоветскими странами как «внеблоковое государство». «Будучи мостом между Востоком и Западом, интегральной частью Европы и бывшего СССР одновременно, Украина выберет такую внешнюю политику, которая позволит нашему государству получить максимальный результат от развития равноправных и взаимовыгодных отношений с Российской Федерацией, Европейским Союзом, США и другими государствами, которые влияют на развитие ситуации в мире», – объяснил президент Украины.

 «Вызовы, которые стоят перед международным сообществом, диктуют необходимость объединяться в как можно более широком формате. Я имею в виду единый мир как силу, способную гарантировать планете мирное сосуществование разных цивилизаций, энергетическую, экологическую, продовольственную безопасность. Мы готовы принимать участие в таких процессах как европейское внеблоковое государство», – сказал президент Украины.

 Между тем в тот же день Европарламент принял резолюцию, в которой содержится пункт о возможности Киева запросить членство в ЕС. А в другом пункте резолюции выражается сожаление в отношении того, что уходящий президент Ющенко присвоил лидеру Организации украинских националистов Степану Бандере, «который сотрудничал с нацистской Германией, титул национального героя Украины». Европарламент выражает надежду на то, что новый президент страны пересмотрит это решение.

  Первый зарубежный визит Виктор Янукович совершит 1 марта в Брюссель, а в  Россию он прибудет 5 марта. Идея первой поездки в Европу принадлежит министру иностранных дел Украины Петру Порошенко. Практического смысла в поездке нет, с Евросоюзом отношения и так в порядке.

  Любой шаг Виктора Януковича в сторону России теперь будет встречать жесткое противодействие со стороны оппозиции. Однако, новому президенту придется мудро решить проблемы присутствии в Крыму Черноморского флота, транзита российского газа в ЕС, статуса русского языка на Украйне. Почти 20 миллион человек не могут употреблять своего родного языка в официальных документах. Не надо забывать что когда Виктор Янукович служил премьер-министром при Кучме он всегда защищал местного капитала от интересов российских олигархов и в его команде, до сих пор, работают американские специалисы.

  Впервые в истории Украины руководителя государства благословлял на труд во благо народа глава Русской православной церкви.  «Пусть хранить вас Господь на многие благие годы, пусть Господь хранит Русь-Украину», — сказал Патриарх Московский и всея Руси Кирилл во время молебна в Киево-Печерской лавре. Присутствующие обратили внимание при этом, что слова молитвы за Украину «Боже Великий единий, нам Украину храни» патриарх немного дополнил: «…нам Русь-Украину храни».

  Наш прогноз простой: именно при Януковиче произойдет сближение Украины с Европой и ее евроинтеграции. У четвертого президента есть огромный шанс модернизировать свою страну благодаря новому приобретенному геополитическому весу бывшего советского республика. Пропустить его было бы непростимо.

 Джузеппе Д’Амато

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