5 dicembre 2009. Come era nell’attesa della vigilia russi ed americani non hanno purtroppo fatto in tempo. Lo Start, firmato nel lontano ’91, è scaduto senza che sia stato definito un trattato in sua sostituzione.
Mosca e Washington conserveranno per ora “lo spirito dell’accordo” che ha garantito il disarmo internazionale negli ultimi 2 decenni, hanno dichiarato in una nota congiunta i presidenti Medvedev ed Obama.
Il negoziato va avanti da mesi, ma restano ancora alcune difficoltà nonostante gli Stati Uniti abbiano eliminato il maggiore ostacolo rappresentato dal progetto di dislocamento dello Scudo spaziale Usa in Europa centrale.
Il mondo entra così in un periodo di incertezza fino a che non verrà finalmente concordato un nuovo testo e questo sarà ratificato sia dalla Duma che dal Congresso.
In novembre i nodi in sospeso riguardavano in particolare il sistema di calcolo delle armi ed il loro controllo. Pochissime sono le notizie filtrate in questi mesi anche se si sapeva che russi ed americani partivano da posizioni lontanissime che si sono riavvicinate con l’inizio della presidenza Obama.
La Russia ha seguito con estrema attenzione il viaggio del presidente statunitense Barack Obama in Asia ed in particolare la tappa a Pechino. L’asse del mondo si è spostato immancabilmente verso oriente, verso l’area del Pacifico. Ne parliamo con Viktor Kremeniuk, vice direttore dell’influente Istituto Usa – Canada di Mosca, è uno dei massimi esperti in relazioni Est – Ovest.
«Gli Stati Uniti e noi tutti – esordisce il professor Kremeniuk – siamo entrati in una nuova fase di sviluppo. Incerta è la sua direzione. Washington ha assunto da tempo la posizione di leader dell’Occidente, ma nell’ultimo decennio sono apparsi nuovi attori internazionali. Sto parlando in particolare del Bric – Brasile, Russia, India e Cina -, Paesi potenzialmente molto forti, ma non alleati della Casa bianca.
George Bush jr. non voleva vedere questa realtà, che, invece, Obama comprende. Il grande interrogativo è se gli Usa troveranno un linguaggio comune con questo gruppo di Stati senza il quale: primo, non è possibile individuare vie d’uscita per le crisi economico-finanziarie; secondo, non si risolvono i problemi della proliferazione nucleare, della sicurezza e del componimento dei conflitti – mi riferisco alle zone calde, ossia Afghanistan, Iraq, Iran -.
Per farla breve, riusciranno gli Usa ad attrarre il Bric verso il proprio ordine mondiale con delle intese o questi Paesi diventeranno degli avversari? Obama sta provando a tirarli verso Washington. Questo è il suo compito strategico».
Quando nel gennaio 2001 George Bush jr. entrò alla Casa bianca la questione cinese era al primo punto della sua agenda internazionale. Poi è venuto l’11 settembre con le sue conseguenze.
«La Cina è una superpotenza fin dall’inizio della storia. Adesso si sta muovendo. Sono stato a Shanghaj di recente dopo un’assenza di due anni. E’ incredibile la velocità del suo tasso di crescita come è difficilmente comprensibile dove questo Paese si dirigerà. La Cina dà ad intendere seri contrasti tra la sua ideologia e la sua economia in espansione. Fino ad ora il sistema politico ha garantito questi alti tassi, è stato in grado di mobilitare le risorse ed ha definito una strategia di sviluppo adeguato. Ma tutto questo avrà delle conseguenze successive indirette sulla politica, sul ruolo del business. Provocherà lo scontro tra interessi militari per la sicurezza e quelli economici. E quale soluzione si troverà per queste questioni? Se l’accumulo di potenza economica trasformerà il Paese in una grande forza militare allora la Cina sarà un problema per tutti noi. Si dovrà allora pensare a come contenerla. Oppure, al contrario, questo accumulo economico suggerirà ai cinesi di rifiutare la variante militare e di sviluppare quello che loro hanno ossia l’economia, la finanza, l’industria eccetera. Questa scelta non è stata, però, ancora fatta da Pechino».
In Occidente si ritiene che la Russia abbia commesso un grave errore a vendere impressionanti quantitativi d’armi ad un vicino così imprevedibile.
«Non parlerei di errore. Bisognerebbe vedere in concreto cosa è stato dato ai cinesi. Non credo che siano stati consegnati quei sistemi che avrebbero trasformato Pechino in un pericolo per la Russia. Può sembrare cinico a dirsi, ma a noi preoccupano i rapporti sino-americani e la situazione nello stretto di Taiwan. Per ora le forze aeree isolane controllano la situazione sul mare. Cosa succede a terra non importa troppo. Noi aiutiamo i cinesi in cose meno rischiose. Il nodo centrale per la Russia è come influire sulle relazioni sino-americane. I cinesi sono diventati più aggressivi o no? La loro logica è assai lontana da quella europea. Ognuno vive nel suo mondo. Il loro è più antico di alcune migliaia d’anni».
D’accordo, ma la Cina sta sviluppando da alcuni anni la sua Marina militare. Se si fa tesoro del passato questo è il primo passo compiuto da qualsiasi potenza in erba per espandere la propria influenza. Quando scoppia una qualsiasi crisi internazionale la prima domanda che la Casa bianca rivolge al Pentagono è dove si trovino esattamente in quel momento le flotte.
«Per una potenza come la Cina è un po’ umiliante avere nelle vicinanze la presenza della Settima Flotta Usa. Pechino sta cercando di riequilibrare la situazione nonostante non abbia portaerei. Gli esperti militari ritengono, comunque, che ad un pareggio di forze ci siamo già arrivati. Queste decisioni, tengo a precisarlo, non stanno a significare che la Cina si stia preparando ad una guerra».
Giuseppe D’Amato
One of the symbols of its land, a myth and a legend. Mikhail Kalashnikov has been a hero for generations of Soviets and Russians. For a long period the world thought that this man didn’t even exist and it was an invention of communist propaganda. “It was the Germans who turned me into an arms designer,” he says.
“ If I hadn’t taken part in the war, I would probably have made technology to ease the tough work of the peasants.”
Mr Kalashnikov started working on his rifle, driven to design by Soviet defeats in the early years of World War II at the hands of far better-armed German soldiers. From the start, he clearly identified his own principles of design: his submachine gun should be simple and reliable. It was only in 1947, after the failure of numerous prototypes, that Kalashnikov’s design was accepted in a competition organised by the defence procurement agency. “I created this weapon primarily to safeguard our fatherland,” he says.
Although some 100 million Kalashnikovs have been produced during its 60 years of service, only roughly half of them are licenced output, meeting Russian quality standards. 30 foreign producers currently make them and 55 countries are using the Kalashnikov, a weapon put on the Guinness Book of Records for its popularity.
The Izhmash machine-building plant was the first to launch mass production of the AK-47 rifle that spawned a whole new generation of small arms.
Read Tony Halpin The Times November 11th, 2009
La tanto attesa firma del presidente ceco Klaus è giunta poche ore dopo il via libera della Corte Costituzionale di Praga. L’Alta Corte aveva sentenziato che il Trattato di Lisbona non è in contraddizione con la Legge Fondamentale nazionale. Alla fine di ottobre Klaus aveva ottenuto ufficialmente concessioni ed esenzioni sulla Carta dei diritti fondamentali. Praga voleva garantirsi contro possibili rivendicazioni dei tedeschi dei Sudeti, espulsi dopo la fine della Seconda guerra mondiale nel 1945.
A Bruxelles si è tirato un sospiro di sollievo. I tempi erano ormai ristretti e si rischiava un ulteriore fallimento dopo che una prima Costituzione continentale era stata bocciata in un referendum da francesi ed olandesi nel 2005.
L’Unione europea può darsi ora una nuova struttura più agile ed adeguata alla realtà dei Ventisette. Vengono soprattutto create le figure del Presidente del Consiglio e dell’Alto rappresentante della politica estera. L’Ue avrà per la prima volta propria personalità giuridica, potendo firmare i trattati internazionali. Dopo il 2014 varierà anche il sistema di voto superando il nodo della unanimità.
Bruxelles farebbe bene a fare entrare in vigore il più presto possibile il trattato di Lisbona. Le elezioni presidenziali in Ucraina potrebbero essere il primo impegnativo test di politica estera.
Решения по ПРО будут отложены как минимум до будущей весны, когда в Чехии должны пройти парламентские выборы.
Виктор Прусаков – Время новостей – 26.10.2009
статья
Lo scoglio Klaus sulla strada della definitiva entrata in vigore del Trattato di Lisbona. Manca, infatti, soltanto il suo “sì” dopo l’approvazione da parte degli altri ventisei membri della cosiddetta mini -Costituzione. Il presidente ceco è conosciuto come il capo di Stato Ue più euroscettico del Vecchio Continente. Scalpore aveva fatto il suo incontro in Irlanda nel 2008 con Declan Ganley, capo del movimento “no a Lisbona”.
Ad inizio ottobre, dopo un tentativo referendario fallito, Dublino ha dato luce verde al Trattato. All’appello mancavano così Varsavia e Praga. L’altro euroscettico, il polacco Lech Kaczynski, irritato per la sospensione americana del progetto che prevedeva il dislocamento dello Scudo spaziale Usa nel suo Paese, non ci ha pensato due volte ed ha firmato il documento già approvato dal Parlamento nazionale.
L’imprevedibile Klaus si è, pertanto, ritrovato da solo a difendere gli interessi o a combattere le paure della “Nuova Europa”. Gli ex satelliti del Cremlino avevano accettato di aderire all’Unione europea nel maggio 2004 soprattutto per sfuggire alla secolare infelice situazione geostrategica con i russi terribilmente troppo vicini. Il loro timore, reso spesso pubblico, è che non si uscisse da un meccanismo opprimente per entrarne in un altro. Nessuno voleva sostituire Bruxelles con Mosca dopo la gioia per la libertà ritrovata con il crollo del Muro di Berlino.
La speranza, quindi, è stata per anni che i tentativi di rafforzare politicamente i Ventisette naufragassero. Va bene area economica – commerciale – democratica e di diritto, ma niente unione politica. Sarebbe calzata a pennello anche una Comunità a due velocità. In questi Paesi lo scontro è stato generazionale e sociale: i giovani col cuore e la mente verso l’Europa, gli anziani col pensiero all’America.
Klaus vuole ufficialmente garantirsi contro possibili rivendicazioni dei tedeschi dei Sudeti, espulsi nel 1945, e richiede delle modifiche sul capitolo dei diritti fondamentali. I polacchi provarono a sollevare un’analoga questione l’anno scorso, poi desistirono. Bruxelles seccamente gli ha risposto di non creare “problemi artificiosi”. Senza il Trattato di Lisbona, già di per sé lacunoso, si va verso la paralisi dell’Ue e nessuno è disposto ad accettare una simile situazione.
I tempi per la firma di Klaus sono stretti. Nelle mani del presidente ceco si gioca il destino della mini-Costituzione continentale, già approvata dal Parlamento nazionale. Il 27 ottobre la Corte costituzionale si riunirà a Praga per sentenziare se il Trattato non contraddica la Legge fondamentale nazionale. Il 29, due giorni dopo, il summit dei leader europei. L’incubo per Bruxelles è che si debba riaprire il processo di ratifica in tutti i Ventisette membri.
Toni morbidi sull’Iran di Hillary Clinton nella sua prima visita ufficiale in Russia da Segretario di Stato Usa. “Non abbiamo chiesto alcunché – ha tenuto a precisare il capo della diplomazia statunitense in conferenza stampa insieme al collega Serghej Lavrov -. Abbiamo analizzato la situazione e l’abbiamo valutata”.
Mosca è decisamente contraria ad imporre a Teheran ulteriori e più dure sanzioni. “Dobbiamo sforzarci in tutti i modi – le ha risposto il ministro degli Esteri russo – per mantenere aperto il dialogo. Minacce, sanzioni o pressioni più forti sono adesso controproducenti”. La diplomazia deve aver successo ad ogni costo, insomma, e l’Occidente deve essere riassicurato sui veri obiettivi del programma nucleare degli ayatollah.
A Mosca Hillary Clinton è apparsa più conciliante rispetto alle dichiarazioni dei giorni precedenti. Un certo effetto hanno avuto sicuramente i non pochi complimenti a lei rivolti sia da Lavrov che dal presidente Dmitrij Medvedev.
Dopo anni di gelo con l’Amministrazione Bush russi ed americani hanno pigiato il cosiddetto bottone del “reset” nelle loro relazioni bilaterali. E’ stata creata una commissione presidenziale composta da 16 gruppi di lavoro. Ampio è lo spettro dei problemi da affrontare insieme.
Sull’Iran, questo uno degli elogi dei russi fatto alla Clinton, lei è “disposta a collaborare al massimo”. Il gruppo dirigente moscovita ha appoggiato in questi anni il programma atomico di Teheran sia tecnologicamente che diplomaticamente. Grandi sono i vantaggi economici – industriali – militari. Recentemente, però, la fazione pro-israeliana sta radunando maggiori consensi. Avere un vicino, storicamente non amico della Russia, con armi atomiche non è poi così conveniente, viene osservato.
Il segretario di Stato Usa è stata abile da parte sua a sottolineare che è venuto il momento che Russia e Stati Uniti insieme “mostrino la loro leadership su tematiche come la Corea del Nord, l’Iran e la proliferazione nucleare”. Questa è vera musica per il Cremlino che con Bush si è sentito messo in disparte ed il ruolo della Russia ridimensionato a semplice potenza regionale.
Quanto possa durare la luna di miele tra Mosca e Washington nessuno lo sa. Obama ha rinunciato per ora al dispiegamento dello Scudo spaziale Usa in Europa centro-orientale, aprendo di fatto la strada all’accordo per il rinnovo dello Start, una delle fondamenta del disarmo mondiale. Il negoziato a porte chiuse, ha riferito Lavrov, sta segnando “progressi sostanziali”. Si spera di rispettare la data del 5 dicembre, quando il vecchio Start perderà valore legale.
Gli specialisti indipendenti dichiarano sicuri che verosimilmente russi ed americani avranno 1.500 testate nucleari operative a testa. All’inizio del 2009 Mosca poteva contare su 2.700, mentre Washington su 2.200. Il taglio è per entrambi irrinunciabile: troppo elevati sono i costi per la manutenzione considerando anche l’evoluzione tecnologica in atto. Le due ex superpotenze, che detengono il 95% delle armi nucleari al mondo, rischierebbero di dissanguarsi economicamente a favore di un qualche terzo incomodo.
In futuro, si sono detti sicuri sia la Clinton che i russi, si potrà aprire anche il discorso su un sistema di difesa anti-missilistico comune. Nel 2007 Vladimir Putin aveva clamorosamente proposto a Bush l’uso di un paio di basi radar posizionate in Azerbaigian e nella Russia meridionale. Washington aveva risposto che l’offerta sarebbe stata valutata senza aggiungere altro. Far entrare Mosca nella vera “stanza dei bottoni” sarebbe una rivoluzione senza precedenti.
La Russia ha centrato il suo obiettivo principale, raffredda, quindi, adesso i suoi rapporti con l’Iran. Il duo Medvedev-Putin ha incassato la recente rinuncia Usa allo dispiegamento dello Scudo spaziale in Europa centrale. Mosca tiene così gli americani e gli occidentali lontani dal suo ex “cortile di casa”, lo spazio ex sovietico.
Gli strateghi del Cremlino hanno vinto una battaglia fondamentale, messa, però, a repentaglio dal recente lancio di un missile a medio-lunga gittata a combustibile solido da parte di Teheran. Il presidente Obama aveva giustificato il cambio di direzione della Casa bianca con il mancato sviluppo da parte di alcuni Paesi avversari di tecnologie che portassero minacce oltre il breve-medio raggio. Intuibile ora la rabbia dei repubblicani a stelle e strisce e dei polacchi. Gli ayatollah sono in grado di colpire non solo Israele ma anche l’Europa meridionale e la Russia, per secoli nemica in Caucaso.
“L’Iran utilizza in modo sempre più attivo l’esperienza del vicolo cieco alla nord-coreana per la conduzione dei negoziati”, ha osservato il quotidiano governativo ‘Rossijskaja gazeta’, riferendosi alla trattativa di Ginevra del gruppo 5+1. Parole sibilline che lasciano intuire scenari nuovi.
Senza l’ausilio tecnologico russo e la sua difesa nelle sedi diplomatiche il programma nucleare degli ayatollah è poca cosa. Ufficialmente Mosca non ha consegnato ancora le batterie anti-missilistiche SS-300, già acquistate nel 2005 da Teheran, unica possibile difesa da raid aerei contro le installazioni atomiche a terra.
La vicenda della nave Arctic sea con un carico misterioso, dispersa nell’Atlantico e rincorsa dalle Flotte militari di vari Paesi, ha fatto suonare l’allarme in tante cancellerie occidentali.
La Russia sta ora mutando atteggiamento per l’imprevedibilità degli ayatollah, ma, di certo, non li scaricherà. Le urla dell’opposizione iraniana contro il Cremlino in giugno sono echeggiate fin dentro alle stanze del potere moscovita. Nessuno vuole cedere una tale pedina all’Occidente.
A parte le questioni geostrategiche che si aprirebbero con anche l’Iraq nelle mani di Washington e la Nato in Afghanistan, Teheran diventerebbe un pericoloso concorrente sul mercato dell’energia. Il Nabucco, la pipeline europea via Turchia ispirata dalla Casa bianca per evitare il transito in territorio russo, troverebbe d’incanto il gas necessario per riempire le tubature.
Ecco, pertanto, che Mosca dovrà iniziare una nuova partita con ben presenti quali equilibri conservare. Non dimenticandosi naturalmente che l’Iran è uno dei cinque Paesi rivieraschi del mar Caspio, la nuova “Klondike” del petrolio dei prossimi anni, crocevia necessario per lo sfruttamento delle ricchezze di idrocarburi dell’Asia centrale. I maghi del Cremlino hanno la scacchiera già pronta, sapendo che a Teheran la Russia si gioca la sua immagine di potenza regionale.
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