Pope Francis spoke on the Armenian genocide and Britain’s vote to leave the European Union, as well as a host of other topics in a wide-ranging press conference on his flight back to Rome following his Apostolic Voyage to Armenia.
Sunday’s in-flight press conference began with questions about the Apostolic Voyage to Armenia that Pope Francis had just concluded.
Asked about his message for Armenia for the future, the Holy Father spoke about his hopes and prayers for justice and peace, and his encouragement that leaders are working to that end. In particular, he talked of the work of reconciliation with Turkey and with Azerbaijan. The Pope will be travelling to Azerbaijani later this year.
Pope Francis also spoke about his use of the word ‘genocide,’ acknowledging the legal import of the expression, but explaining that this was the term commonly in use in Argentina for the massacre of Armenians during the first World War.
About the Pan-Orthodox Council, which concluded Sunday in Crete, the Pope said, “A step was made forward . . . I think the result was positive.” In response to a question about upcoming commemorations of the 500th anniversary of the Protestant “Reformation,” Pope Francis said, “I think perhaps this is also the right moment for us not only to remember the wounds on both sides, but also to recognize the gifts of the Reformation.” He also had words of praise for Martin Luther. The Pope praying and working together are important for fostering unity.
Reporters also questioned the Pope about recent events, including the recent “Brexit” vote in Britain. He said he had not had time to study the reasons for the British vote to leave the European Union, but noted that the vote showed “divisions,” which could also be seen in other countries. “Fraternity is better, and bridges are better than walls,” he said, but he acknowledged that there are “different ways of unity.” Creativity and fruitfulness are two key words for the European Union as it faces new challenges.
Finally, answering a question from Father Federico Lombardi, SJ, the Director of the Holy See Press Office, Pope Francis reflected on his visit to the Memorial at Tzitzernakaberd, and his upcoming journey to Poland, which will include a visit to Auschwitz. The Pope said that in such places, he likes to reflect silently, “alone,” praying that the Lord might grant him “the grace of crying.”
Extract from the Vatican Radio.
Vladimir Putin è uno dei convitati di pietra al Brexit. Il profilo tenuto dal Cremlino sulla questione è bassissimo, ma l’attenzione è massima. In caso di addio della Gran Bretagna, i nazionalisti russi già pregustano l’indebolimento dell’Unione europea ed il possibile scioglimento del Regno Unito con l’indipendenza della Scozia. Senza far nulla Mosca si potrebbe levare di torno in un colpo solo due fortissimi concorrenti e si concretizzerebbero i gloriosi progetti di egemonia per il XXI secolo.
Nel 2014 con l’allargamento ad Est dell’Ue i Paesi ex satelliti del Cremlino hanno trovato nel polo occidentale un qualcosa di più attraente ed infatti i due Majdan in Ucraina ne sono una conseguenza indiretta. Ora Putin sta tentando di dare una sterzata rispetto a questo corso e contemporaneamente di rientrare nei grandi giochi mondiali.
Appunto, il Grande Gioco, che vide russi e britannici lottare per tutto l’Ottocento, con l’odiata Londra che sbarrò alla San Pietroburgo zarista la strada ai mari caldi del sud. I primi hanno costruito un impero sulla contiguità territoriale; gli altri sul suo modello opposto, transoceanico. Nel Ventesimo secolo la Gran Bretagna ha perso di continuo pezzi, ma la sua influenza, seppur ridimensionata, è rimasta. E i russi non se ne danno pace, visto cosa è successo a loro dopo il crollo dell’Urss. Si è sviluppata una sorta di complesso verso gli inglesi, tanto che, nel 2013 il portavoce del Cremlino definì il Regno Unito “l’isoletta”.
Cosa sia il Vecchio Continente senza un progetto comune lo sanno tutti: basta sfogliare i manuali di storia. Ai campionati di calcio in Francia si è avuto un breve ripasso. “Duecento dei nostri hanno spazzato via migliaia di inglesi”, Putin ha commentato, pur condannando i fatti.
gda
“Servono azioni coordinate per garantire una crescita sostenibile ed equilibrata”. Questo uno dei passaggi principali contenuti nel messaggio del presidente russo, Vladimir Putin, in occasione dell’inaugurazione del ventesimo Forum economico di San Pietroburgo. Alla manifestazione partecipano oltre alcune centinaia di compagnie internazionali nonché un’autorevole rappresentanza politica, tra cui il segretario dell’Onu, Ban Ki-moon.
Sul Baltico si tenta in realtà di riavvicinare i due poli continentali, le cui relazioni sono provate dalla crisi ucraina, scoppiata nell’autunno 2013, e dalle rispettive sanzioni e contro-sanzioni. Tra mille polemiche a San Pietroburgo è presente anche il presidente della Commissione Ue, Jean-Claude Juncker, che ha in programma un incontro con il capo del Cremlino. Il suo intento è di “costruire ponti” sulle questioni economiche, ribadendo, però, l’obbligo di Mosca di applicare in pieno l’accordo di pace di Minsk-2, da lei firmato, sull’Ucraina orientale. Pesanti critiche a questo viaggio sono state espresse dai Paesi Ue centro-orientali che evidenziano come il Cremlino possa sfruttare l’occasione per aumentare le differenze, già esistenti, sul mantenimento o meno delle sanzioni da parte dei Ventotto. Nessun rappresentante degli Stati Uniti è, invece, presente a San Pietroburgo.
Juncker e Putin si conoscono da molti anni ed il loro rapporto personale potrebbe garantire nuovi insperati spiragli. Il presidente della Commissione europea ha tenuto, comunque, a precisare che “l’annessione illegale della Crimea ed il conflitto in Ucraina orientale hanno provocato il peggioramento delle relazioni bilaterali, poiché la Russia ha violato i principi fondamentali dell’ordine internazionale”. Bruxelles si attende che ora Mosca utilizzi tutto il suo “potenziale” per normalizzare la situazione.
Sulla stessa linea è l’ex presidente francese, Nicolas Sarkozy, che ha invitato la Russia a cancellare per prima le contro-sanzioni, che riguardano essenzialmente i prodotti alimentari, in particolare carne, frutta e verdura. Questa proposta è stata fatta direttamente a Vladimir Putin nel corso di un colloquio tra i due leader.
Le sanzioni occidentali colpiscono, invece, i settori finanziari ed energetici, anche se ieri l’anglo-olandese Shell ha firmato accordi con la russa Gazprom ed un progetto di raddoppio del gasdotto Nord-Stream sotto al Baltico – con numerose aziende dell’Europa centrale rappresentate nel consorzio – sta andando in porto.
Il portavoce del Cremlino, Dmitrij Peskov, ha, però, smorzato sul nascere qualsiasi tipo di speranza per un primo passo da parte dei russi, mentre il ministro degli Esteri, Serghej Lavrov, è apparso più ottimista nel vedere la luce in fondo al tunnel delle sanzioni.
Dichiarazione comune firmata all’Avana da Papa Francesco e il Patriarca Kirill:
The crash of flight MH17 on 17 July 2014 was caused by the detonation of a 9N314M-type warhead launched from the eastern part of Ukraine using a Buk missile system. So says the investigation report published by the Dutch Safety Board today. Moreover, it is clear that Ukraine already had sufficient reason to close the airspace over the eastern part of Ukraine as a precaution before 17 July 2014. None of the parties involved recognised the risk posed to overflying civil aircraft by the armed conflict in the eastern part of Ukraine.
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Vladimir Putin ha fatto bene i conti nel gettarsi nel ginepraio mediorientale? Gli aspetti da considerare nell’intervento in corso sono i più disparati: da quello economico a quello della sicurezza interna; da quello militare a quello politico-religioso.
L’economia russa si trova oggi a convivere con una crisi strutturale e con il fallimento del modello di sviluppo. La pioggia di proventi a catinelle, generati dalla vendita delle materie prime, si sta estinguendo facendo emergere scogli inaggirabili da due decenni.
I forzieri sono ancora pieni di dollari, ma questi potrebbero finire presto senza un allentamento delle sanzioni occidentali. Il tempo delle decisioni impopolari si avvicina, quindi. Ecco perché non è chiaro dove Putin troverà i soldi per la nuova guerra.
Colpire gli estremisti fuori dai confini patri significa inoltre tornare ad essere un bersaglio dell’“internazionale del terrore” come negli anni Novanta, quando gli attentati erano continui. I servizi di sicurezza hanno preparato filtri, collaudati in Caucaso, ma il sangue potrebbe scorrere ugualmente. La popolazione è disposta a ripiombare nella paura provata a lungo più di un quindicennio fa?
Come dimostrato in passato, i raid aerei sono poco effettivi senza un’azione terreste coordinata. La portata dell’operazione russa è per ragioni logistiche limitata. Cosa pensa di fare allora Putin di diverso dagli altri? Una fotografia a Palmira liberata dagli incivili che distruggono uno dei patrimoni dell’umanità? Per queste ragioni l’attuale operazione federale in Siria appare finora più che altro mediatica e con scopi diversi da quelli mediorientali.
Occupare mezza Ucraina fino a Kiev o abbattere lo Stato islamico, impiegando 50-100mila suoi uomini, è per Mosca possibile. Il problema semmai, come ha provato la tragedia afghana, è gestire un impossibile dopoguerra. Una tale azione, indubbiamente, servirebbe a levare pressione estremista dai confini meridionali dell’ex Urss.
Mosca si schiera ora apertamente con gli sciti (iraniani, alawiti, hezbollah, tagichi) contro gli interessi sunniti (sauditi in primis, in parte occidentali) in una regione in cui tutti combattono contro tutti, cambiando spesso bandiera, senza una logica di lungo respiro. L’unica sorpresa potrebbe essere rappresentata da un’azione terreste contemporanea vincente di tutte le forze scite locali, sostenute da Mosca. Allora la figuraccia occidentale sarebbe sì di proporzioni galattiche.
Per adesso, quello siriano sembra l’ennesimo abituale rilancio di Putin. Il problema è che, prima o poi, bisogna mostrare le carte che si hanno in mano.
gda
A long waited summit for peace in eastern Ukraine ended with a call for the delay of contentious rebel plans to hold local elections this month and for both sides to begin a promised withdrawal of smaller-caliber weapons.
Russian President Vladimir Putin met Ukrainian President Petro Poroshenko, French President Francois Hollande and German Chancellor Angela Merkel in Paris. The summit was the first since the leaders worked out a peace deal in Minsk in February.
“We don’t want elections to get held in eastern Ukrainian territories under conditions that would not respect Minsk,” Hollande said. The Minsk deal includes a year-end deadline for Kyiv to recover full control over its border with Russia.
The Ukrainian pullback will take 41 days. “The war will be over when the last piece of the Ukrainian land has been liberated,” Poroshenko said.
Merkel, who described a “positive mood” at the Paris meeting, said after the talks that Putin had “committed to working towards…establishing the conditions that would allow elections to take place according to Minsk, based on Ukrainian law, in a coordinated fashion between the separatists in Donetsk and Luhansk and the Ukrainian government.”
But the separatists’ representatives in Donetsk and Luhansk have previously announced they would conduct elections on their own terms on October 18 and November 1, respectively, without the involvement of the Ukrainian government.
The regular regional elections in the rest of the country are scheduled for October 25.
We are a group of long experienced European journalists and intellectuals interested in international politics and culture. We would like to exchange our opinion on new Europe and Russia.