The communique confirmed G20 members have committed to lifting economic output to deliver an additional 2.1 per cent growth boost by 2018.
“Raising global growth to deliver better living standards and quality jobs for people across the world is our highest priority,” they said.
The target will add more than US $ 1.89 trillion to the global economy and create millions of jobs.
“We will monitor and hold each other to account for implementing our commitments,” they said.
At the same time, the G20 would be mindful of the spill-over effects of this growth on the global economy, including possible inflationary pressures.
This might require central bank actions on monetary policy.
“We stand ready to use all policy levers to underpin confidence and the recovery,” the G20 said.
Progress would be evaluated at next year’s summit in Turkey.
The G20 also appears to have heeded a United Nations call to deliver “quality” jobs and support women and jobless youth into work.
“We agree to the goal of reducing the gap in participation rates between men and women in our countries by 25 per cent by 2025,” it said.
This would bring more than 100 million women into the labour force.
A separate plan will encourage education and training for young people, with labour ministers due to report back to the G20 next year.
The G20 called for countries support international trade by lowering costs, streamlining customs procedures, reducing regulatory burdens and strengthening trade-enabling services.
“We are promoting competition, entrepreneurship and innovation, including by lowering barriers to new business entrants and investment,” they said.
There were also commitments to eradicate poverty and ensure the G20 contributed to inclusive and sustainable growth in poor and developing countries.
Another key area was taxation, with the G20 endorsing actions to close profit-shifting loopholes for big or multinational corporations and secure country tax revenue bases.
“Profits should be taxed where economic activities deriving the profits are performed and where value is created,” they said.
The G20 stressed its concerns about the spread of the deadly Ebola virus in West Africa and the human and economic impact.
“We support the urgent co-ordinated international response and have committed to do all we can to contain and respond to this crisis,” they said.
“We call on international financial institutions to assist affected countries in dealing with the economic impacts of this and other humanitarian crises, including in the Middle East.”
G20 nations have backed strong action on climate change in the wake of the Brisbane leaders’ summit.
Climate change
“We support strong and effective action to address climate change,” the official communique released on Sunday said.
Climate change wasn’t on the formal agenda prepared by the Australian presidency, but supportive statements by US President Barack Obama this weekend ensured its inclusion in the final statement.
The leaders agreed their future actions will support sustainable development, economic growth and certainty for business and investment.
The G20 will work together to adopt a protocol under the United Nations Framework Convention on Climate Change to present at the Paris climate conference in 2015.
“We encourage parties that are ready to communicate their intended nationally determined contributions well in advance,” they said.
“We reaffirm our support for mobilising finance for adaptation and mitigation, such as the Green Climate Fund.”
The UN-backed fund was set up to help poor countries deal with the impacts of climate change, such as rising sea levels and severe weather events.
The US this weekend committed $US3 billion to the fund, and Japan $US1.5 billion.
Other commitments or policy actions included:
Ogni tanto l’opinione pubblica internazionale scopre l’esistenza di un qualche summit informale che immancabilmente si trasforma in un’ottima occasione per i leader per parlarsi a quattr’occhi al di fuori delle camice di forza rappresentate dalle istituzioni mondiali e dalle visite di Stato.
E’ in queste occasioni che realmente si pongono le basi per la soluzione di questioni spinose e si architettano alleanze più o meno formali da utilizzare successivamente.
A momenti, a Milano, manco gli addetti ai lavori hanno compreso i risultati finali del vertice ASEM Europa – Asia. I leader principali presenti non hanno parlato altro che della crisi ucraina oltre che di problemi bilaterali.
Soltanto prossimamente, quindi, sapremo se l’ASEM avrà fatto centro. A Bruxelles europei – russi ed ucraini dovrebbero chiudere l’eterna partita sulle forniture di gas a Kiev. Il che significherebbe un inverno di stabili approvvigionamenti russi al Vecchio Continente.
E’ bastata la minaccia di Putin, lanciata dalla Serbia, sul pericolo imminente per le consegne di metano per ammorbidire gli europei, che tuttavia non alleggeriranno le sanzioni contro Mosca.
Ma intanto la Russia porta a casa “cash” fresco, vitale in un momento in cui il rublo sta colando a picco, il Pil è vicino alla recessione e le riserve di valuta si sono assottigliate di 50 miliardi di dollari in pochi mesi. Ecco cosa sta costando la campagna di difesa del “cortile ex sovietico” e la mancata riforma dell’economia federale troppo dipendente dal prezzo del petrolio.
A Milano la cancelliera tedesca Angela Merkel era furente per l’ennesimo sgarbo subito dal capo del Cremlino, cronicamente in ritardo. L’incontro bilaterale giovedì sera è stato prima cancellato, poi riorganizzato in fretta e furia per evitare un incidente diplomatico. Questi screzi tra leader sono uno dei punti per comprendere alcune logiche che hanno provocato la crisi ucraina.
I russi continuano a credersi giocatori centrali nel nuovo mondo della globalizzazione, dimenticandosi che i tempi della Guerra Fredda sono finiti da un pezzo ed il loro peso economico-finanziario a livello di Pil è più o meno pari a quello di un Paese come l’Italia.
La differenza nella crisi ucraina è stata finora fatta dalle forti motivazioni di Mosca rispetto a quelle più fiacche euro-americane. Putin si gioca il suo futuro politico, la Russia la sua posizione dominante nell’ex Urss. Bruxelles difende i principi ed il diritto internazionale. Gli ucraini sono invece le vittime sacrificali in questa partita geostrategica.
L’Ue vorrebbe prendere sotto controllo la frontiera russo-ucraina attraverso la quale passano i rifornimenti ai separatisti del Donbass. In un certo senso si duplicherebbe la missione EUBAM, che è presente da anni sul confine ucraino-moldavo dalla parte della repubblica della Transnistria. Figuriamoci, se in questo momento – con elezioni in Ucraina e forse in Donbass – i filo-russi accetteranno la proposta.
Ed in ultimo. Se i separatisti dell’Est terranno loro elezioni il 9 novembre la Merkel già ha promesso fuoco e fiamme. Conclusione: in Ucraina si va verso uno scenario da conflitto congelato, ma non per il freddo!
Giuseppe D’Amato
L’accordo è stato raggiunto in piena notte dopo 7 ore di negoziati. Le misure sono a corollario di quelle già definite il 5 settembre, sempre a Minsk, dal Gruppo di contatto (Ucraina, Russia, OSCE). L’OSCE è supervisore della realizzazione del memorandum, che tenta di dare sostanza alla precedente intesa. Nelle precedenti due settimane la tregua è stata più volta violata con centinaia di morti. Le parti hanno convenuto di continuare lo scambio di prigionieri. Lo status dei territori sotto controllo dei separatisti non è stata discussa.
1. Cessazione dell’uso di armi considerate “comuni”.
2. Stop delle unità militari sulle posizioni in cui si trovano il 19 settembre.
3. Divieto all’utilizzo di qualsiasi tipo di armi ed alla conduzione di operazioni offensive.
4. Nel corso di una giornata dalla firma di detto memorandum, rimozione di armi di calibro superiore a 100 millimetri dalla linea del fronte di almeno 15 chilometri da ambo le parti, in particolare dai centri abitati, in maniera da creare una zona di sicurezza di non meno di 30 chilometri.
5. Divieto di dislocazione di armamenti pesanti ed attrezzature pesanti nei distretti dove si trovano determinati insediamenti abitati.
6. Divieto di installazione di nuovi campi minati sui confini della zona di sicurezza; obbligo di sminare i campi all’interno della zona di sicurezza.
7. Creazione di una no-fly-zone sulla zona di sicurezza sia per apparati interni che stranieri, ad eccezione di quelli dell’OSCE.
8. Dislocazione nella zona di cessazione dell’uso delle armi di una missione monitoring dell’OSCE, compresa nel gruppo di osservatori, nell’arco di un giorno. L’area di cui sopra è divisa in settori, i cui confini sono definiti nel corso della preparazione del lavoro di monitoring della missione di osservatori dell’OSCE.
9. Ritiro di tutti i mercenari stranieri dalla zona del conflitto da ambedue le parti.
A Simferopoli la Procura generale ha confiscato le proprietà della Fondazione (non a scopo di lucro) “Krym”, il cui fondatore è il leader dei tatari di Crimea Mustafà Dzhemiliev, già deputato alla Rada ucraina. Il 16 settembre la sede dell’Autorità tatara era stata perquisita dalla polizia.
I tatari di Crimea non hanno partecipato in massa alle elezioni di domenica 14 settembre in cui sono stati eletti i nuovi rappresentanti locali. Il prossimo capo della Crimea Serghei Aksionov ha negato che ci siano problemi con questa minoranza, che è contraria al ritorno della penisola sotto il controllo di Mosca. La ragione della perquisizione all’Autorità tatara, secondo Aksionov, era la presunta “presenza di letteratura vietata”.
Mustafà Dzhemiliev, a cui non è permesso l’ingresso in Crimea e sul territorio russo per 5 anni, ha definito quanto finora accaduto come “un attacco criminale”. Le ambasciate USA e turca hanno già espresso la loro “preoccupazione” e stanno seguendo da vicino l’evolversi della situazione.
Secondo fonti militari ucraine il Cremlino ha dislocato al confine amministrativo tra la penisola contesa e la terraferma 4mila uomini con a disposizione artiglieria e carri armati.
La guerra civile in Ucraina orientale si avvia a diventare nei prossimi mesi un conflitto dimenticato, mentre i leader internazionali – a parole – continuano a litigare. Dopo la tregua sancita il 5 settembre 2014 a Minsk gli scontri sono diminuiti di intensità, ma si muore lo stesso. Secondo alcuni calcoli dall’inizio del cessate il fuoco hanno perso la vita già una trentina di persone.
Gli epicentri dei combattimenti sono sul mare di Azov tra Mariupol e Novoazovsk – gli abitanti del centro portuale odono i colpi in lontananza – e nei pressi dell’aeroporto di Donetsk, ancora nelle mani dei governativi. A Gorlovka l’ordine pubblico è precario. A Lugansk l’elettricità manca in alcuni quartieri dopo che una centrale è stata centrata da un colpo di mortaio.
Secondo l’Agenzia per gli affari umanitari dell’Onu all’11 settembre 2014 sono morte 3.171 persone (tra cui 27 bambini), 8.061 (non meno di 56 bambini) sono i feriti. OHCHR/WHO. Gli sfollati in Patria sono 262.977, quelli all’estero 366.866.
“E’ stato l’ultimo addio all’Unione Sovietica”. Così il presidente ucraino Petro Poroshenko in un discorso al Parlamento canadese, prima di volare a Washington dal collega statunitense Barack Obama. La ratifica del Patto di Associazione con l’Unione europea è per Kiev il passo decisivo verso un futuro diverso.
I separatisti dell’Est non sono d’accordo ed insistono per l’indipendenza nonostante la maggiore autonomia ottenuta sulla carta. Le elezioni locali, programmate per il 7 dicembre, dovrebbero essere un nuovo spartiacque nelle intenzioni del governo centrale. Il dubbio è, però, se queste consultazioni si terranno mai.
In Russia, intanto, la situazione economica inizia a preoccupare. Il dollaro e l’euro hanno segnato nuovi record contro il rublo anche per il deprezzamento sensibile del petrolio sui mercati internazionali. 105 è il valore minimo per Mosca per salvare il proprio budget statale. “No al panico”, è la parola d’ordine.
Мирный план Порошенко имеет 14 пунктов, в которых указано следующее:
1. Гарантии безопасности для всех участников переговоров.
2. Освобождение от уголовной ответственности тех, кто сложил оружие и не совершил тяжких преступлений.
3. Освобождение заложников.
4. Создание 10 км буферной зоны на украинско-российской государственной границе. Вывод незаконных вооруженных формирований.
5. Гарантированный коридор для выхода российских и украинских наемников.
6. Разоружение.
7. Создание в структуре МВД подразделений для осуществления совместного патрулирования.
8. Освобождения незаконно удерживаемых административных зданий в Донецкой и Луганской областях.
9. Возобновление деятельности местных органов власти.
10. Обновления центрального теле- и радиовещания в Донецкой и Луганской областях.
11. Децентрализация власти (путем избрания исполкомов, защита русского языка – проект изменений Конституции).
12. Согласование губернаторов до выборов с представителями Донбасса (при условии согласования единой кандидатуры, при разногласиях – решение принимает Президент).
13. Досрочные местные и парламентские выборы.
14 Программа создания рабочих мест в регионе.
A Minsk Ucraina, Russia ed OSCE hanno siglato un’intesa per il cessate il fuoco. L’obiettivo finale è quello di realizzare un piano di pace in 14 punti. I rappresentanti dei separatisti filo-russi erano presenti con uno status simile a qualcosa come osservatori. Kiev non ha così avuto necessità di riconoscerli formalmente.
PIANO PACE Poroshenko
“We Europeans must learn a lesson from the tragic Polish September, from the tragic years of the Second World War – tragic for all people without exception – that we cannot be naively optimistic. Today, looking at the tragedy of the Ukrainians, looking at the war – be1cause we need to use that word – we know that September 1939 cannot be allowed to be repeated” said Polish Prime Minister Donald Tusk.
NATO member states will work towards “a new policy, whose main objective will be the security and effectiveness of our western community against the threat of war, not only in eastern Ukraine.”
It was on Gdansk’s small Westerplatte peninsula that the first shots of World War II were fired, with a small detachment of Polish soldiers attempting to withhold a siege from Nazi Germany.
Polish and German presidents Bronislaw Komorowski and Joachim Gauck met for the commemoration.
In view of the situation in Ukraine, the Federal Council has today decided to take further measures to prevent the circumvention of international sanctions. It has amended the Ordinance of 2 April 2014 on measures to prevent the circumvention of international sanctions in relation to the situation in Ukraine to include the sanctions imposed by the EU in July. The revised ordinance enters into force at 6 pm today.
During its discussions on the situation in Ukraine of 13 August 2014, the Federal Council decided to widen its current policy and to take all the measures required to ensure that the most recent sanctions imposed by the European Union cannot be circumvented via Swiss territory. Today the Federal Council decided on the necessary measures.
In the field of finance, issues of long term financial instruments by five Russian banks will be made subject to authorisation. In future, authorisation for new issues will only be granted if they are within the average financial engagement of the past three years. The subsidiaries of these Russian banks in Switzerland are exempt from the authorisation requirement as long as they are not acting on behalf of, or on the instructions of their parent companies. The EU’s restrictive measures also allow a similar exemption for subsidiaries of the Russian banks in question on its territory. Secondary trading in financial instruments newly issued outside Switzerland and the EU will be subject to a duty to notify. Eleven names have been added to the existing list of natural persons and businesses with whom financial intermediaries are prohibited from entering into new business relationships and whose existing business relations are subject to a duty to notify.
With regard to specific military goods and dual-use goods subject to licence, the Federal Council decided to add a further criterion for rejecting the application for an export licence to the existing list of criteria in goods control legislation. An application may now be refused if goods are intended to be used exclusively or partially for military purposes, or if they are intended for a military end user. With regard to war material, the Federal Council decided that a ban on imports of such goods from Russia and Ukraine should apply. The Federal Council also decided to introduce a duty to notify for exports of certain goods used in the extraction of oil in deep sea, Arctic or shale gas projects in Russia.
As a result of Switzerland’s decision not to recognise the annexation of Crimea by Russia constituing a breach of international law, the Federal Council has imposed a ban on imports and a ban on exports of certain key goods used in the extraction of oil and gas, as well as restrictions on investments for Crimea and Sevastopol.
The Federal Council has acknowledged the measures taken by Russia in respect of agricultural goods. It stresses that Switzerland is not engaged in any state measures to promote additional Swiss exports to Russia.
The Federal Council continues to monitor the situation in Ukraine closely and reserves the right to take further measures depending on how the situation develops.
Il tempo delle operazioni militari sta finendo per l’avvicinarsi dell’inverno; è venuta l’ora di una tregua fra gli ucraini; Mosca si prepari ad un serio negoziato.
È questo il messaggio recapitato a Kiev personalmente da Angela Merkel prima del summit a Minsk tra europei ed ex sovietici. In estrema sintesi, le parti in causa facciano un passo indietro e diano una chance alla pace. I presidenti russo Putin e ucraino Poroshenko avranno l’occasione di parlarsi a quattr’occhi o alla presenza di mediatori. Che sfruttino l’occasione!
La cancelliera tedesca è stata chiarissima. Primo: l’Ucraina ha bisogno di “decentralizzare i poteri dello Stato” in modo da fornire garanzie alle regioni dell’Est, popolate da una maggioranza russofona. Secondo: Berlino e l’Unione europea doneranno “500 milioni di euro per l’immediata ricostruzione”. Terzo: non verrà riconosciuta l’annessione della Crimea da parte del Cremlino. Quarto: se la situazione non migliorerà rapidamente “non sono escluse nuove sanzioni” contro la Russia, alla quale non verranno fatte concessioni, poiché la crisi è troppo pericolosa. Nelle settimane passate la Merkel ha definito Putin un uomo che vive “in un altro mondo”.
Berlino è in realtà preoccupata che con l’approssimarsi della stagione fredda Mosca possa iniziare a giocare con le forniture del gas. L’Unione europea dipende per un 30% circa del suo fabbisogno dalla russa Gazprom. Approssimativamente l’80% di questi approvvigionamenti transitano in Ucraina. Per ora le reazioni anti-occidentali del Cremlino sono state spuntate e ad uso della propaganda interna.
Sul piano militare i governativi di Kiev hanno riconquistato gran parte delle due regioni ribelli, costringendo i separatisti ad asserragliarsi nelle tre città di Donetsk, Gorlovka e Lugansk. Non riescono per ora solo a sigillare la frontiera per evitare l’arrivo di uomini freschi e armi in soccorso.
Kiev non pare, tuttavia, avere unità speciali sufficienti per snidare in fretta nei centri urbani quelle poche migliaia di guerriglieri delle due Repubbliche popolari presenti.
E il tempo, adesso, gioca contro di lei: l’autunno e il rigido inverno sono alle porte. Gran parte della popolazione è fuggita dalle zone del conflitto: la sua stragrande maggioranza è ospite di parenti o amici; in percentuale in pochi sono nei campi profughi. Le vacanze, forzatamente cominciate a giugno, devono finire, anche perché i soldi iniziano a scarseggiare.
La gente, sia a Lugansk che a Donetsk, non ne può più: vuole la fine della guerra civile. I pochi che avevano dimostrato supporto per i separatisti, si sono diradati. I ribelli stanno distruggendo le infrastrutture per provocare una crisi umanitaria, che, per il momento, non esiste a Donetsk, ma si intravede a Lugansk città. Quella è una delle poche carte restate loro in mano.
A Minsk, in conclusione, vi sarà il tentativo di trovare una soluzione, facendo uscire tutti dalla crisi con la faccia pulita…o quasi.
Giuseppe D’Amato
We are a group of long experienced European journalists and intellectuals interested in international politics and culture. We would like to exchange our opinion on new Europe and Russia.