Vladimir Putin è certamente il convitato di pietra al G7 di Taormina. Diverse sono le ragioni di tale situazione e queste non dipendono soltanto dalla missiva, consegnata a Sochi una decina di giorni fa al premier Gentiloni, da recapitare ai colleghi del club dei Paesi più ricchi del mondo. Senza l’ausilio russo, è bene non dimenticarsi, non ci possono essere a breve la stabilizzazione del Medio Oriente, una valida lotta al terrorismo internazionale, la completa sicurezza nucleare.
Ma non solo: è soprattutto l’intero Vecchio Continente a rischiare di perdere quell’equilibrio, che ha permesso di vivere sette decenni in pace. In una nota del ministero degli Esteri federale, Mosca afferma che le cause di questa complessa realtà sono “il risultato diretto della linea distruttiva scelta” dall’Alleanza atlantica, che mira ad “ottenere una spregiudicata supremazia politica e militare negli affari europei e mondiali”.
L’invito a fermarsi “prima che sia troppo tardi” della diplomazia federale è ribadito senza giri di parole, anche perché certe “dinamiche tipiche dell’era dello scontro” non portano da nessuna parte. La Russia è dispiaciuta dell’“aumento di truppe” e della costruzione di nuove “infrastrutture” dell’Alleanza atlantica sul suo fianco orientale. Tali scelte, confermate al summit Nato di Varsavia dell’estate scorsa, sono “un’erosione” dei principi espressi nell’Atto Fondativo del rapporto tra Mosca e Bruxelles del 27 maggio 1997. Secondo i russi il primo pericolo che si corre ora è ricominciare la “gara degli armamenti”.
Stando ai diplomatici federali, “il desiderio dell’Alleanza Atlantica di mostrare la necessità della propria esistenza, gonfiando il mito della ‘minaccia dall’est’, ostacola l’unione e gli sforzi dei Paesi nella lotta contro le sfide comuni”. Nel documento si aggiunge anche che “la cosa importante è rendersi conto della realtà e comprendere in modo depoliticizzato i processi moderni, guardando oltre all’orizzonte dell’oggi, non solo negli interessi del ‘club dei Paesi eletti’ ma di tutti i popoli dell’Europa senza eccezioni”.
Non una sola parola viene proferita sulla crisi ucraina, scoppiata nell’autunno 2013, causa della sospensione della Russia dall’allora G8 e delle successive sanzioni politiche ed economiche occidentali. Come si ricorderà, il Cremlino “riunì” la penisola della Crimea – allora territorio sotto la sovranità di Kiev – alla Madrepatria nel marzo 2014. Inoltre non si riesce a far applicare dai separatisti filo-moscoviti gli accordi di Minsk (firmati da Mosca nel febbraio 2015) per la pace in Donbass e Lugansk, dove, nel frattempo, sono morte più di 10mila persone e sono fuggiti quasi 3 milioni di abitanti.
I tempi, però, sono cambiati a livello internazionale. Per i russi, con l’insediamento di Donald Trump alla Casa bianca, è venuto il momento del riavvicinamento all’Occidente e della fine delle sanzioni. Il mondo contemporaneo con le sue sfide globalizzanti non permette una Seconda guerra fredda.
Gda
Vladimir Putin rompe gli indugi e passa, come suo stile, al contrattacco, in un momento in cui si stanno definendo nuovi equilibri internazionali. Il Cremlino ha annunciato un suo inatteso viaggio a Parigi, il 29 maggio, ufficialmente per una mostra, in realtà per incontrare il neocapo dell’Eliseo, Emanuel Macron. La Francia fa parte del Quartetto che negozia la soluzione della crisi ucraina e da lei molto dipenderà la futura politica europea.
Con gli Stati Uniti le relazioni tardano a rilanciarsi. La paura è che la guerriglia contro il presidente Donald Trump possa continuare per tutto il suo mandato. Urgono, però, scelte per rilanciare le relazioni bilaterali ed accordarsi sul Medio Oriente.
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