E’ un anniversario sopportato non tanto celebrato. Nessuna manifestazione ufficiale ha in pratica ricordato uno degli eventi principali della realtà contemporanea, capace di cambiare i destini del mondo.
Già nel 2016 il presidente Putin invitò il Paese a utilizzare le lezioni della storia per rafforzare la pace civile e a non speculare sulle tragedie per propri fini politici o di qualsiasi altro genere.
Questa linea dai toni bassi e dimessi è proseguita per mesi tanto che il portavoce del Cremlino, Dmitrij Peskov, si è lasciato scappare davanti alla stampa internazionale “ma che cosa si deve festeggiare? Spiegatemelo”.
Le ragioni di questa scelta sono molteplici.
In primo luogo, la Rivoluzione d’ottobre è stata per la Russia il prologo alla guerra civile ed alle repressioni, causa di milioni di morti. In estrema sintesi: una tragedia. Allo stesso tempo, però, iniziò l’epoca sovietica che, a costi catastrofici, modernizzò il Paese e lo fece diventare una superpotenza mondiale.
In secondo luogo, analizzare un evento così complesso significa anche parlare delle ingiustizie sociali e delle ineguaglianze durante lo zarismo. Il pensiero correrebbe subito a fare un confronto con la situazione attuale in un Paese ora in crisi, alla ricerca di una propria identità nel mondo globalizzato del XXI secolo. A pochi mesi dalle elezioni di marzo ciò non è affatto auspicale.
Il motivo di questo navigare quasi a vista e a volte zigzagante è che l’attuale società russa continua a vivere sui miti sovietici e nessuno vuole adesso metterli in discussione o scontrarsi con loro.
Per questo, da oltre un decennio il Cremlino ha fatto diventare un po’ artificiosamente il 4 novembre festa nazionale, il Giorno dell’Unità, in cui – in maniera conciliante – si ricorda la cacciata dei polacchi da Mosca nel 1612.
Così è facilmente immaginabile quanto adesso dia fastidio nella “stanza dei bottoni” russi la polemica sul cosa fare del mausoleo di Lenin! Da una parte sono schierati i liberali, la candidata alle presidenziali Sobchak, il leader ceceno Kadyrov (il cui popolo fu deportato da Stalin), e dall’altra tutta la galassia comunista, radunata intorno al segretario del Pc Zjuganov. Le fonti ufficiali, invece, tacciono.
La terza ragione dei toni dimessi per il centenario è la linea politica, adottata da Vladimir Putin in questi anni. Il Cremlino è schierato da sempre ovunque per lo “status quo”. E’ stato così nello spazio ex sovietico contro le “rivoluzioni colorate” (Georgia 2003, Ucraina 2004, Ucraina 2014,) ed all’estero in generale contro le rivolte di ispirazione liberale ed occidentale (Siria 2011, Libia, 2011, Egitto 2011). Ogni manifestazione di dissenso viene considerata a Mosca come un delitto.
Come si sarebbe potuto, in conclusione, celebrare la Rivoluzione d’ottobre?
La risposta è una sola: è meglio far finta di nulla. Se bisogna festeggiare qualcosa, è meglio che sia il 4 novembre.
gda
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