L’imponente palazzo della Cultura e delle Scienze incombe da decenni su Varsavia. Da quasi ogni zona della capitale si vede l’edificio “donato” da Stalin ai polacchi, per certi versi un presente avvelenato, che segna il centro della città moderna. Subito dopo il crollo del Muro di Berlino erano in tanti che avrebbero voluto far ricorso alla dinamite per liberarsi una volta per tutte di quello che era considerato il simbolo del “giogo” sovietico.
La mancanza di uffici e di spazi di qualità fece propendere per la scelta di rimandare qualsiasi decisione. I nuovi ultramoderni grattacieli, sorti negli ultimi anni intorno al palazzo della Cultura soprattutto in quello che un tempo era il ghetto ebraico, si integrano tutto sommato bene con questo pezzo d’architettura di inizio anni Cinquanta, gemello delle 7 torri costruite a Mosca per tentare di concorrere in altezza con New York.
Quando in dicembre al sorteggio di Kiev i russi sono stati inseriti nel girone con i polacchi in tanti hanno pensato che il diavolo ci avesse proprio messo lo zampino. Storicamente tra i due popoli slavi non è mai corso buon sangue. Un episodio su tutti: luglio ’44, l’Armata Rossa, accampata nel quartiere capitolino di Praga, osservò dalla riva opposta della Vistola senza muovere un dito come i tedeschi massacrarono i polacchi che si erano sollevati contro di loro. Katyn e Smolensk sono altri capitoli dolorosi.
Alla fine ad Euro 2012 gli incidenti, che per mesi si sono temuti, si sono verificati. La “battaglia di Varsavia” ha lasciato sul campo una cinquantina di feriti, 150 fermi tra gli hooligans di casa, 28 tra gli ospiti. Gli imbecilli hanno sconfitto la società civile dei due Paesi, che da tempo si sforzano di migliorare i loro rapporti bilaterali.
Il centro di Varsavia è presidiato in forza dalla polizia. La nazionale russa ha scelto come propria base l’hotel Bristol, uno dei più esclusivi della Polonia, che si trova esattamente a 50 metri dal Palazzo presidenziale. Gli organizzatori di Euro 2012 avevano chiesto loro di cambiare sede del ritiro prima dell’inizio dei campionati, ma non c’è stato nulla da fare.
E’ bene sottolinearlo per il pubblico occidentale: Euro 2012 è anche il tentativo di superare le laceranti divisioni del passato. Soprattutto ad est della vecchia Cortina di ferro, dove l’evoluzione storica ha seguito un proprio percorso assai più lento e doloroso che in altre zone d’Europa.
L’incredibile stadio Nazionale – un tempo uno dei maggiori mercati all’aperto dell’Europa centrale – è, però, qualcosa di più …di un tentativo. Lo si vede da tutto il centro. Di notte illuminato, questo sombrero allungato con i colori biancorossi sembra la risposta al tetro e grigio palazzo “sovietico” della Cultura.
E’ proprio questo impianto sportivo, il nuovo “Colosseo” di Varsavia, il simbolo della Polonia del 21esimo secolo, quella del successo post integrazione europea.
Giuseppe D’Amato
Doveva essere la grande festa attesa da una vita ed invece Euro 2012 si è trasformata in un incubo. Almeno per la dirigenza ucraina. Negli ultimi decenni non ricordiamo una vigilia tanto tribolata.
A Cardiff, nell’aprile 2007, l’Uefa era a conoscenza dei rischi della scelta di organizzare il primo campionato di calcio oltre la vecchia Cortina di ferro. Allora si temevano di più gli euro-scettici gemelli Kaczynski in Polonia e molto meno gli arancioni filo-occidentali al potere in Ucraina.
E comunque, quando era stato varie volte primo ministro, l’azzurro Viktor Janukovich si era sempre mostrato un partner affidabile, nonostante le perenni liti interne sia con l’ex presidente Viktor Jushenko – vedi la cosiddetta “rivoluzione arancione” dell’autunno 2004 – sia con l’ex premier Julija Timoshenko.
L’Europa non è abituata, come gli ucraini, ad assistere alle ormai proverbiali risse tra deputati delle opposte fazioni alla Rada ed alle loro infinite faide, le cui conseguenze non hanno quasi mai superato i confini nazionali. Ma adesso la situazione è diversa: è il Paese intero – non solo la sua degradata classe dirigente – a rischiare di rimetterci la faccia.
L’Ucraina non è, tuttavia, una repubblica delle banane, gestita da mafiosi. La realtà storica è che quasi in modo miracoloso il caos perfetto della politica interna nazionale ha consentito la nascita di, forse, l’unica democrazia dell’ex Urss, dove la concezione di libertà di stampa e di parola non ha subito contraffazioni. Sullo sfondo di questo scenario si osserva la dura contrapposizione tra il Polo europeo e quello russo.
Ma andiamo all’evento sportivo. Diciamo subito che il Paese ha fatto i salti mortali per ospitare al massimo delle proprie possibilità Euro 2012. Calcisticamente parlando, l’Ucraina è probabilmente la migliore realtà dell’Europa orientale. La Dinamo di Kiev è facilmente accostabile al “grande Torino” o all’indimenticabile Manchester United degli anni Sessanta o all’eterna Honved di Budapest. La sua è stata una scuola, punto di riferimento sia in epoca sovietica che in quella successiva. Andriy Shevchenko è solo l’ultimo di una lunga nidiata di campioni. L’Ucraina non è oggi solo Dinamo Kiev, ma anche Shaktior Donetsk, recente campione Uefa.
I nuovi “Paperoni” locali – su tutti i fratelli Surkis e Rinat Akhmetov – hanno risollevato il calcio nazionale dal disastro post sovietico. Contemporaneamente dal 2007 si è tentato di colmare la cronica mancanza di infrastrutture. Oggi gli alberghi sono in numero maggiore e di qualità superiore al 2007, le strade e le superstrade rimangono pericolose, i treni sono migliorati. Gli aeroporti hanno terminal nuovi di zecca e faciliteranno i trasferimenti delle squadre e dei tifosi più abbienti.
Gli stadi sono tutti belli ed ultramoderni. Quelli di Kharkov e Leopoli sono, a dire il vero, un po’ piccolini, con una capienza limitata. Discorso diametralmente diverso per l’Olimpiskij di Kiev (70mila) o lo splendido impianto di Donetsk, dono da 400 milioni di dollari di Akhmetov alla sua città.
E poi in Ucraina non ci si annoia affatto. Kiev e Leopoli sono città ricche di monumenti e con una cultura unica. Kharkov e Donetsk sono più moderne, ma piene di attrattive. Ovunque ci sono aree verdi per il tempo libero dei tifosi dove fiumi di birra e musica a volume altissimo allieteranno le calde giornate in attesa delle partite.
I giornali britannici hanno invitato le mogli dei tifosi a non mandare i mariti in Ucraina: troppe le belle donne laggiù. E poi un’alta percentuale di professioniste del sesso a pagamento, aggiunge lo scandalistico “The Sun”, ha contratto pericolose malattie.
Da Euro 2012 la repubblica ex sovietica spera di lanciarsi come méta futura del turismo. Buona ospitalità e successo dei campionati sono due ingredienti essenziali per aprire definitivamente l’Ucraina al mondo esterno. Peccato che la classe dirigente di questo Paese dalle enormi potenzialità stia facendo l’impossibile per sprecare un’occasione storica, veramente unica. Per loro l’Ucraina deve rimanere la solita sfortunata provincia della globalizzazione.
Giuseppe D’Amato
“Lavoriamo tutti per partecipare alla festa”. Damian Zalewski è l’immagine vivente della Polonia post integrazione europea. Studi universitari di alto livello a Nancy in Francia, poi impiego di prestigio al Comune di Poznan, prima del futuro sicuro salto a Bruxelles.
Il Paese slavo ha reclutato tutte le sue migliori forze per Euro 2012. La competizione continentale di calcio non è solo un evento sportivo di prima importanza ma soprattutto una vetrina per mostrare al mondo il volto nuovo della Polonia. Insomma, un’occasione unica da non fallire assolutamente.
I precedenti sono incoraggianti: la Spagna sfruttò in modo eccezionale il volano rappresentato dal Mundial del 1982 per lanciarsi come mèta del turismo di massa e dimostrare alla comunità internazionale che le dolorose pagine, legate al franchismo, erano ormai superate.
Gli scettici – che, come al solito, non mancano mai – puntano, invece, il dito sui costi. In Germania nel 2006 ed in Sud Africa nel 2010 le perdite finanziarie sono state considerevoli. Per fortuna, finora nessuno scomoda il caso delle Olimpiadi greche, peccato originale del default ellenico.
A dire il vero, il potere delle televisioni e degli sponsor impedisce oggi esodi biblici di massa al seguito delle squadre nazionali come in passato, favorendo, però, la mondializzazione dell’evento sportivo ed un quarto d’ora di celebrità alle località ospitanti.
Ma attenzione. L’europeo polacco – ucraino va inquadrato in un’ottica diametralmente diversa rispetto alle competizioni passate. E comunque andrà sarà un successo. La ragione reale della sorprendente scelta dell’Uefa a Cardiff nel 2007 delle due sedi dell’Europeo è difatti di carattere politico e supera enormemente le pur valide motivazioni sportive.
Dopo il Duemila la comunità internazionale ha preso tra le sue braccia la Polonia, poi di riflesso l’Ucraina. Nel bilancio Ue 2007-2013 a Varsavia sono andati 67 miliardi di euro, fondi continentali, da spendere principalmente in infrastrutture. Nel prossimo settennato ne verranno concessi, secondo anticipazioni, 81. L’obiettivo centrale è di ammodernare il sesto Paese più popoloso dell’Ue e di farne una futura colonna portante dell’Unione.
Viaggiare tra le sedi della manifestazione calcistica è il vero problema dei tifosi. Poche sono le autostrade – molte ancora in costruzione -, i treni lasciano a desiderare, i voli low cost interni – di recente inaugurati – sono un grosso punto interrogativo.
Facciamo il caso della squadra azzurra, che ha la sua base nella bellissima Cracovia, la città di Karol Wojtyla, nel sud del Paese. La prima partita contro la Spagna a Danzica sul Baltico e le altre due a Poznan, ad un passo dalla frontiera con la Germania. Cracovia – Danzica in treno sono più di 10 ore di viaggio, 12 in auto; Cracovia – Poznan in ferrovia circa 6 ore, grosso modo lo stesso in macchina.
Lasciamo perdere l’Ucraina, dove le distanze sono molto più grandi. Se dopo la prima fase a gironi qualcuno fosse costretto a spostarsi da Poznan a Donetsk (la città più ad ovest di Euro 2012 e quella più ad est – ossia il caso dell’Italia se dovesse arrivare seconda nel suo girone eliminatorio dopo la favoritissima Spagna) dovrebbe percorrere ben 1900 chilometri.
Dei biglietti, da mesi, non c’è manco l’ombra. “Al lavoro ho partecipato ad una specie di lotteria – ci racconta Ela, dipendente di un ministero –. Alcuni tagliandi erano stati messi in palio. Nulla!” Gli stadi sono troppo piccoli per rispondere alla richiesta dei polacchi. Gli sponsor della manifestazione hanno poi fatto la parte del leone. Il rischio di rimanere fuori dallo stadio, se non si ha qualche santo in Paradiso, è alto. Conclusione: questi sono Europei soprattutto televisivi e virtuali.
Ma anche tecnologici. Nei centri cittadini di tutte e quattro le sedi polacche di Euro 2012 – ossia Varsavia, Danzica, Poznan e Wroclaw (ossia Breslavia) – il servizio gratis di Wi-Fi funziona per 24 ore al giorno. Chiunque con un portatile o con un telefono cellulare di ultima generazione può collegarsi ad Internet.
Uno dei pochi aspetti, che decisamente non va, è legato ai bancomat. Tutte le banche – polacche ed internazionali – applicano automaticamente tassi di cambio assai inferiori rispetto ai normali cambiavalute o alla Banca centrale polacca. Di solito 1 euro per 3,7 zloty o 3,8 rispetto a 1 per 4,1 o 4,2. E meno male che si spinge la gente a non usare il contante!
EURO 2012 – Anthem in Ukraine…….. EURO 2012 – Official Anthem in Poland……
EURO 2012 – Official Anthem UEFA
Lo zar è tornato. Dopo quattro anni da primo ministro Vladimir Putin è di nuovo capo del Cremlino. Fastosa la cerimonia con cui la Russia lo ha incoronato per la terza volta. Rigido il protocollo in cui tutto era calcolato al secondo: dall’entrata del neoeletto nel grande Palazzo del Cremlino ai due brevi discorsi, dal suono delle campane alle ore 12 precise alle 31 salve di cannone.
Ma è un Putin diverso dal passato, si sono affannati in questi giorni a scrivere diversi commentatori. L’ex agente dagli occhi di ghiaccio, è stato rimarcato, sarà costretto ad aperture e a confrontarsi con l’opposizione.
All’ingresso al Cremlino Vladimir Putin è apparso quasi emozionato come se il suo fosse un appuntamento non solo col Paese ma anche con la storia. Il “leader nazionale”, come lo chiamano i suoi sostenitori, ha, però, subito ritrovato il tradizionale piglio aggressivo quando ha letto la formula del giuramento. Quindi il discorso tutto incentrato sulla Patria e nel credere in lei.
Doveroso all’inizio dell’intervento è stato il tributo al suo giovane “delfino”, Dmitrij Medvedev, che gli ha permesso questa operazione politica per aggirare il divieto dei due mandati presidenziali consecutivi (2000 e 2004), stabiliti dalla Costituzione.
Come si ricorderà nel 2008 Putin candidò al proprio posto di capo dello Stato uno dei suoi vice, rimanendo come primo ministro. Adesso il tandem si ricambia le cariche e l’ex presidente ha subito incassato la fiducia come primo ministro dalla Duma con 299 “sì” e 144 “no”.
Gli altri punti del breve discorso del neopresidente al Cremlino hanno riguardato la volontà di rafforzare la democrazia e la libertà, nonché la necessità di migliorare l’economia. Uno degli obiettivi per una “Russia di successo” nei prossimi sei anni di suo mandato è quello di diventare “leader in Euro-Asia”. Ossia viene riproposto nuovamente con forza il progetto di fondare sull’esempio dell’Unione europea una Comunità economica delle repubbliche ex sovietiche. Finora Russia, Bielorussia e Kazakhstan hanno già creato l’Unione doganale, mentre le altre per ora stanno a guardare.
All’uscita tra due ali di folla, composta dai notabili e da alcuni leader stranieri ospiti – tra i quali Silvio Berlusconi e l’ex cancelliere tedesco Gehrard Schroeder -, è apparso un sorriso sul viso del neopresidente, che si è fermato a stringere le mani dei presenti e a baciare una sostenitrice cieca. Quindi la parte militare con la consegna della famosa valigetta nucleare con i codici di controllo dell’arsenale russo. Putin e Medvedev, insieme alle rispettive signore, sono stati ricevuti in forma privata dal Patriarca Alessio II.
Dopo una manciata di ore dall’insediamento ecco subito i primi decreti presidenziali di Vladimir Putin. Società ed economia sono i primi campi toccati. Il neopresidente ha chiesto anche una verifica del piano per le prossime privatizzazioni.
Putin si è poi congratulato con il neo collega francese Francois Hollande per la sua elezione, dicendosi “pronto a lavorare con lui attivamente”.
La Russia, si legge in un documento del Cremlino, cercherà legami più stretti con gli Stati Uniti, ma non tollererà influenze nei suoi affari e chiede garanzie che lo Scudo anti-missilistico Usa non sia contro di lei.
Contemporaneamente alla cerimonia di insediamento un centinaio di persone, tra cui l’ex vicepremier riformista Boris Nemtsov, sono state fermate dalla polizia in piazza del Maneggio, di fronte al Cremlino. In una Mosca spettrale e blindata – ancora provata dagli incidenti di due giorni fa con decine di feriti e centinaia di arresti – oltre un migliaio di oppositori anti-Putin ha inscenato una nuova manifestazione di protesta non lontano da piazza Pushkin. La loro richiesta – uguale a quella dei circa 70mila di domenica – è sempre la stessa: elezioni libere al più presto. Per ora la politica ha risposto con la riforma del sistema di registrazione dei partiti.
Gli Europei di calcio in Ucraina sono in pericolo dopo gli attentati di Dnipropetrovsk e l’“affaire” Timoshenko. La Germania ha scelto una pausa di riflessione prima di decidere il daffarsi. Ma è tutta l’Unione europea che guarda preoccupata agli eventi in corso nell’ex repubblica sovietica.
Venerdì 27 aprile ben quattro ordigni hanno seminato il panico a Dnipropetrovsk, provocando il ferimento di 29 persone. L’interrogativo che si pongono un po’ tutti è che cosa ci sia dietro quelle bombe: se questa sia l’inizio della strategia della tensione oppure il folle gesto di un delinquente isolato.
La polizia pare brancolare nel buio nonostante la pubblicazione di alcune foto-identikit dei possibili attentatori. I migliori investigatori ucraini studiano ogni particolare in quella che il presidente Viktor Janukovich ha definito “una sfida per l’intero Paese”.
Dnipropetrovsk non è un luogo qualsiasi. 1,1 milioni di abitanti, distesa sul fiume Dniepr, la città – che ha dato i natali ad importanti politici ucraini tra cui l’ex presidente Kuchma e visto in precedenza sorgere la stella di Leonid Breznev in tempi sovietici – è oggi un feudo dell’ex premier Julija Timoshenko, la pasionaria della rivoluzione arancione del 2004, attualmente detenuta in galera dopo una controversa condanna a sette anni per abuso di potere e malversazione.
Subito dopo gli attentati i deputati fedelissimi della Timoshenko, arcinemici del presidente, sono arrivati ad accusare, senza mezzi termini, il presidente ucraino di nascondersi dietro all’azione terroristica. Secondo loro il vero obiettivo di Janukovich sarebbe quello di distrarre l’attenzione dell’opinione pubblica dalla crisi economica e dalle persecuzioni politiche.
Da giorni circolano le foto della Timoshenko piena di lividi. In precedenza, il neo presidente tedesco Gauck aveva cancellato una visita ufficiale a Jalta dopo che Kiev aveva negato il permesso per far curare l’ex premier all’estero. In questo clima esplosivo la giustizia ucraina ha deciso di rimandare un ulteriore processo contro la Timoshenko per reati fiscali.
Secondo fonti autorevoli la cancelliera tedesca Angela Merkel potrebbe adesso scegliere la strada del boicottaggio di Euro 2012 se Julija Timoshenko non dovesse essere liberata al più presto. Il presidente del Bayern, Uli Hoeness, ha scritto una lettera al capo dell’Uefa, Michel Platini, chiedendo un suo intervento presso Janukovich.
Alcune settimane fa Bruxelles ha congelato la firma del tanto atteso Patto di Associazione tra Ue ed Ucraina fino a che l’“affaire” Timoshenko non venga chiarito. L’ex premier è stata condannata in dicembre per aver favorito nel 2009 la firma di un accordo per la fornitura di gas dalla Russia e per aver provocato forti perdite alle casse dello Stato.
Secondo numerosi analisti sullo sfondo di questo scontro Janukovich – Timoshenko c’è la vendetta promessa degli oligarchi ucraini contro l’ex premier, che in tante occasioni li ha contrastati, facendo loro perdere importanti affari. Berlino e Bruxelles si sono, però, stancati di questa guerra senza fine. E’ arrivato ora il tempo delle decisioni sofferte.
Giuseppe D’Amato
Semplicemente splendide. Le “anti-Spice” girls russe sono sei agguerritissime nonnine della regione settentrionale dell’Udmurtia. Hanno vinto le selezioni federali, letteralmente sbaragliando il campo, pieno di stars affermate. Alla fine di maggio in Azerbaigian rappresenteranno il loro Paese alla seguitissima edizione di Eurovision, il popolare festival della canzone europea.
Le “Buranovo Babushki”, questo il loro nome, – in italiano le “nonne di Buranovo” – cantano nella loro lingua nazionale, dichiarata dall’Unesco “in pericolo”, e vestono con i costumi tipici delle campagne russe. Sul palco sembrano delle matrioshke viventi: abiti umili di colore rosso, grembiuli e fazzoletti d’ordinanza, collane di monete al collo, calzature di spago e calzettoni bianchi di lana ai piedi.
Il loro repertorio, costituitosi in 40 anni di duro lavoro, è quello classico tradizionale, ma per l’appuntamento continentale è stato arricchito con qualcosa di diverso. Il testo, che presenteranno a Bakù, è in udmurto con il ritornello in inglese.
Le sei nonne di Buranovo stanno tentando di perfezionare al meglio la lingua di Shakespeare, ma non è facile a quella età. Una coreografa si sforza di farle ballare con ritmi moderni. Le loro movenze tradiscono, però, altri movimenti, lo stesso armoniosi, e per questo genuini.
La più esperta del gruppo, la 76enne Natalja Pugaciova, ha lavorato tutta la vita nel locale kolkoz, le fattorie collettive d’epoca sovietica, ed adesso è sorpresa da tanta notorietà. “E’ una grande opportunità – le fa eco la compagna quasi coetanea Olga Tuktareva – per dimostrare che anche gli anziani possono fare le cose giuste ed avere una vita gioiosa e ricca spiritualmente”.
“Il vestito è sul tavolo – cantano in udmurto le ‘Buranovo Babushki’ – I nostri figli arriveranno presto. Il dolce è nel forno. I nostri cuori sono pieni di gioia!” Il difficile è il ritornello: “Come on and dance! Boom Boom! Ha ha ha!!”.
Una delle loro speranze è di guadagnare qualche rublo per costruire nel remoto villaggio natio una chiesa, che fu distrutta ai tempi di Stalin. Ma liberarsi dagli impegni casalinghi per partecipare alla selezione federale e per andare in Azerbaigian non è stato per niente facile. “E chi terrà a bada le vacche e sbrigherà le faccende domestiche”, hanno chiesto i vispi mariti. Grazie all’aiuto di tutta la famiglia, soprattutto di figli e nipoti, il problema è stato risolto per il momento.
Ma anche in caso di successo la loro vita non cambierà. Gli animali delle mini-fattorie le aspettano trepidanti. E poi bisogna seminare le patate. Occhio, però, a non sottovalutare queste incredibili nonnine!
Finalmente! Dopo tre anni di vani tentativi, con un paio di voti popolari anticipati e disordini di piazza, la settimana scorsa la Moldova è riuscita ad eleggere un presidente. Era dall’aprile 2009, quando Vladimir Voronin lasciò l’incarico per la scadenza del mandato, che la repubblica ex sovietica non aveva un capo dello Stato nel pieno delle sue funzioni. Totale: 917 giorni di una crisi istituzionale interminabile, che stava minando seriamente le fondamenta del giovane Stato moldavo.
L’origine di tutte le tribolazioni è da ricercarsi principalmente in una Costituzione, scritta da giuristi poco esperti, con alle spalle un retaggio troppo sovietico. Il presidente è, infatti, eletto dai 101 deputati del Parlamento, che viene sciolto dopo tre votazioni fallite. Ma non solo: serve anche una maggioranza qualificata di 62 voti. In presenza di un’assemblea divisa la scelta del capo dello Stato è praticamente impossibile.
Così anche venerdì scorso al Parlamento moldavo si è assistito a vere e proprie scene da carbonari. La votazione, prevista in un primo momento per le 15, è stata anticipata all’improvviso alle 8 del mattino. Il Partito comunista, in netto contrasto con la maggioranza relativa, aveva indetto una manifestazione davanti ai palazzi del potere per le 13,30.
Per evitare i “franchi tiratori”, definiti più sbrigativamente “traditori”, i partiti dell’“Alleanza per l’integrazione europea” hanno fatto piegare ai propri deputati le schede da depositare nell’urna segreta in una ben determinata maniera. Tre parlamentari hanno vigilato sulla correttezza dei colleghi, mentre l’unico rappresentante del Pc, presente in aula, si è dilungato in un discorso semplicemente intimidatorio.
Conclusione: i tre fuoriusciti dal Pc, i quali hanno formato recentemente il gruppo socialista, sono stati determinanti. Il giudice 63enne Nicolae Timofti è stato eletto presidente, il quarto nella breve storia repubblicana, con 62 voti. Quanto tempo starà in carica è ancora un mistero, poiché i costituzionalisti locali interpretano ognuno a propria maniera le norme.
Considerata in epoca sovietica la “cantina” dell’“impero”, la repubblica latina dell’Urss ha terribilmente sofferto il passaggio all’economia di mercato. Nel 1992 una sua regione a maggioranza slava, la Transnistria, chiamata anche la “Lombardia” della Moldavia, si è separata dopo una guerra sanguinosa. Tutti i negoziati di riconciliazione nazionale sono finora falliti. 600mila moldavi su una popolazione di 4,4 sono emigrati all’estero, 100mila solo in Italia. Molti di loro detengono un passaporto romeno ed alcuni politici a Bucarest mirano in futuro a farla tornare sotto l’egida della madrepatria.
L’Unione europea si è impegnata a fondo per non vedere la “Dacia” di romana memoria trasformarsi in un buco nero. “Dobbiamo essere un ponte tra Est ed Ovest”, ha subito promesso Timofti. La sua costruzione, però, è tremendamente complessa!
La “primavera” russa perde smalto e diversamente non potrebbe essere. Sabato scorso sull’Arbat sono scesi a protestare non più di 20-25mila moscoviti, molto meno rispetto alle oltre centomila persone delle precedenti manifestazioni “per elezioni pulite” del dicembre e del febbraio scorsi. Le presidenziali del 4 marzo sono ormai alle spalle e la delusione sta prendendo il sopravvento in un movimento composito che rischia di frazionarsi tra le sue molteplici anime.
La “battaglia di Russia”, come l’ha definita Vladimir Putin, non è però conclusa, come si potrebbe superficialmente credere, ma è entrata in una fase più tecnica e meno spettacolare. Presto, infatti, verso l’inizio dell’estate il governo sarà costretto ad imporre misure economiche impopolari: i prezzi sono in pratica congelati da un anno per le elezioni, con un deficit di bilancio diventato un segreto di Stato. Allora, sì, che la partita ricomincerà molto più seriamente che queste legislative e presidenziali, diciamolo pure, addomesticate.
La variabile imprevedibile in questa situazione è rappresentata dal dio “petrolio”. Il suo prezzo alle stelle è l’unico elemento in grado di aiutare il “leader nazionale” ad ottemperare alle troppe promesse elettorali. Altrimenti, saranno dolori di pancia. Il modello Putin – ossia “proventi dalla vendita delle materie prime impiegati per lo sviluppo” – non funziona più. Servono risorse interne. Ai russi, soprattutto a quelli benestanti, bisognerà spiegare che pagare le tasse è necessario per offrire servizi ai meno abbienti. Altro che 13% sui guadagni, come ora.
In sintesi, l’autunno si annuncia caldissimo. I prossimi lunghi mesi serviranno alle opposizioni per organizzarsi meglio e creare quelle strutture politiche che adesso mancano del tutto.
A Mosca la domanda imperante in queste ore è come continuare, nel frattempo, la lotta contro Putin e i suoi alleati. La prima risposta è che certamente molta dell’attuale energia verrà spesa nella crociata contro la corruzione e la superbia della nomenklatura. Il mezzo per mantenere unita la protesta sarà Internet con i suoi social forum. In Parlamento sono già in corso, da settimane, consultazioni tra alcuni dei leader delle composite opposizioni, restate fuori dalla Duma alle legislative di dicembre per i soliti “giochetti”, e la squadra di Putin.
Questo elemento deve far riflettere, e non poco, gli osservatori indipendenti. Ma come è giustificabile una tale trattativa quando si sono appena tenute elezioni generali? Che investitura popolare hanno gli uni e gli altri rappresentanti dei due schieramenti? L’unica cosa positiva è che si è scelta la strada del dialogo e non quella della piazza per risolvere i problemi e concordare una seria riforma politica.
In conclusione, come nelle attese Vladimir Putin ha vinto il primo scontro, ma la battaglia non è affatto finita e lui ne è ben coscio. La “luna di miele” col Paese, durata ben 12 anni, è definitivamente finita. Ora il “leader nazionale” ha contro una larga fetta della società russa con cui giochi e giochetti non serviranno ad alcunché. Questa è l’ora dei fatti e delle riforme.
“Le dimissioni sono state un atto di responsabilità”. Questo il commento del noto politologo Christian Forstner a conclusione dallo scandalo che ha coinvolto la Presidenza federale tedesca.
“Chiariamo subito – dice il direttore della sede di Bruxelles della fondazione Hanns Seidel, vicina ai potentissimi cristiano-sociali bavaresi, – che Wulff ha lasciato l’incarico per ciò che aveva fatto prima di diventare presidente e non per aver commesso un qualcosa durante il suo mandato. La sua vera colpa è che in passato era stato troppo vicino agli uomini d’affari”.
Ma da capo dello Stato Wulff ha tentato di bloccare la pubblicazione di alcuni articoli compromettenti. “Certo. Con la sua uscita di scena Wulff ha voluto difendere l’istituzione della Presidenza federale. La giustizia sta aprendo un’inchiesta penale”. Le sue dimissioni sono state un colpo alla cancelliera Merkel? “Da un certo punto di vista sì. E’ stata lei a proporlo alla carica di presidente. Ma la decisione di Wulff di farsi da parte le riconsegna spazio di manovra”. Prima Horst Koehler poi Christian Wulff, ambedue andatisene anticipatamente. Se possiamo dirlo, senza che qualcuno si offenda, la Merkel non è proprio fortunata con i candidati che sponsorizza. “Sì, ma attenzione. Il presidente federale in Germania è poco più che una figura simbolica. Ha una funzione di mera rappresentanza. Ad esempio, adesso durante la crisi dell’euro è stato il governo, nella persona della cancelliera, ad avere il potere di decisione. Non la Presidenza federale”.
Ecco analizziamo le dimissioni di Wulff da una prospettiva europea. Dal punto di vista dell’immagine la Germania non ne esce un granché bene. Ricordiamo che mai nella storia un suo presidente si era dimesso per lo scoppio di uno scandalo. “Non vedo alcun indebolimento del mio Paese a livello continentale. Ripeto il presidente da noi ricopre una carica simbolica. Se viene a Bruxelles va a trovare il re del Belgio e non va a trattare alla Commissione europea. L’estate scorsa Wulff aveva criticato in un discorso la Banca europea, quando questa aveva iniziato a comprare le obbligazioni dei Paesi in difficoltà tra i quali l’Italia. Malgrado le critiche in Patria non v’è stata quasi traccia delle sue parole all’estero. Se quelle stesse cose le avesse dette il suo predecessore l’economista Koehler, che era stato capo del Fondo monetario internazionale, la sua influenza sarebbe stata mediaticamente maggiore, ma nulla più. In questi mesi le decisioni europee vengono prese a livello di capi di governo. Persino i ministri hanno visto ridimensionato il loro ruolo”.
In conclusione, esiste in Germania una concezione di moralità nella politica diversa che in Italia o nel resto d’Europa. E se sì, perché? “Gli scandali ci sono anche da noi, soprattutto a livello regionale. La differenza viene fatta dall’opinione pubblica che mette fine alla carriera dei politici chiacchierati”.
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