“La via maestra è l’integrazione europea”. Questo uno dei passaggi più significativi del discorso del presidente ucraino, Viktor Janukovich, tenuto al Maidan, la piazza centrale di Kiev. Le riforme, ha sottolineato il capo dello Stato, sono solo all’inizio ed hanno l’obiettivo di garantire lo sviluppo democratico ed un giusto stato sociale.
Rispondendo poi alle critiche delle ultime settimane, Janukovich ha ribadito che è favorevole a mass media liberi e forti, poiché essi sono una delle fondamenta della democrazia.
Di quanto sia complicata l’indipendenza ha parlato il premier Azarov, ricordando i passati legami economici e culturali col resto dell’Urss. L’ex presidente Jushenko ha, invece, polemizzato, evidenziando come anche le vecchie generazioni ucraine volevano “essere padroni in casa propria”, ma si dovette aspettare fino al 1991.
Dopo le repubbliche baltiche con la loro catena umana di protesta contro l’Urss, celebrata a Riga al monumento per la Libertà, anche la Polonia ricorda il difficile 1989 con il passaggio di potere a Solidarnosc ed il crollo del Muro di Berlino. Il 24 agosto è l’anniversario della composizione del primo governo post comunista dell’Europa satellite di Mosca, quello del premier Tadeusz Mazowiecki.
Torna d’attualità la questione del prezzo del gas russo. La compagnia tedesca E.On ha chiesto nuovi sconti alla Gazprom. E’ la seconda volta che ciò accade quest’anno dopo la riduzione ottenuta dalle società occidentali in primavera.
Tre le ragioni principali: 1. La differenza di prezzo tra quello della monopolista russa e quello dei suoi concorrenti – su tutti norvegesi, olandesi, del Qatar – non è poca cosa; 2. Si utilizzano sempre più gas liquefatti (LNG); 3. Gli Stati Uniti stanno incrementando la produzione dei gas scisti, di cui anche la Polonia è ricca.
“Siamo sempre in trattativa con tutti i nostri fornitori per ottenere condizioni conformi con la situazione di mercato”, ha chiarito il portavoce di E. On, Kai Krischnak. Già all’inizio d’agosto un funzionario della stessa compagnia tedesca, Johannes Teyssen, aveva segnalato che la E.On avrebbe cominciato da ottobre ad avere delle perdite di profitti se i prezzi non fossero stati abbassati.
Quale sia il tipo di sconto che la compagnia richiede non è stato rivelato. Il maggior concorrente della Gazprom in Europa, la norvegese Statoil, avrebbe accettato di vendere per un 30% in meno, si dice a Mosca. I contratti di lunga durata, imposti della monopolista russa, permettono di richiedere delle modifiche in presenza di cambiamenti significativi della situazione dei mercati. Negli Stati Uniti il pezzo medio del gas nel primo trimestre è stato di 195 dollari, mentre ora veleggia sui 156. Secondo la Troika Dialog nel primo trimestre del 2010 i clienti occidentali della Gazprom hanno pagato in media 307 dollari per mille metri cubi, mentre sul mercato britannico il prezzo medio è stato di 187.
Dopo la E.On anche l’Ucraina, attraverso il suo primo ministro Azarov, ha richiesto pubblicamente la revisione del prezzo, concordato a Kharkiv soltanto pochi mesi prima.
Nel 2009 le esportazioni di gas della Gazprom in Europa sono diminuite di circa il 12% sia per la crisi economica che per lo scontro con Kiev. Secondo alcuni calcoli di specialisti solo nel 2010 la monopolista russa ha perso 2 miliardi di entrate per le riduzioni concesse agli acquirenti. Ma il problema non è ancora risolto.
E’ entrata nella fase finale la costruzione della centrale atomica di Bushehr in Iran. Per una decina di giorni i tecnici russi caricheranno il carburante nucleare, poi entro 6 mesi l’inizio dell’attività. E’ dal 1995 che Mosca aveva accettato di completare un progetto, partito nel lontano 1974 ai tempi dello Scià, da parte della tedesca Siemens.
Quanto sia realmente pericolosa questa centrale è la prima delle domande che l’opinione pubblica si pone. Le posizioni divergono.
Assai interessante è il punto di vista di Mark Fitzpatrick, direttore del Programma di non proliferazione e disarmo all’Instituto internazionale per gli studi strategici. “La Russia – osserva lo studioso – ha accettato di riprendersi il combustibile utilizzato (che contiene plutonio) non appena sia abbastanza freddo. Le critiche a Bushehr distraggono dai veri rischi alla proliferazione creati dal programma di arricchimento dell’uranio da parte dell’Iran”.
Il carburante, presente a Bushehr, sarà molto sotto il 90% di arricchimento necessario per le testate nucleari ed avrà un valore di circa il 3,5%. Teheran ha però un progetto in corso in altri siti per arrivare al 20%, quota che le autorità definiscono necessaria per ricerche in campo medico. Gli ayatollah hanno confermato che il combustibile utilizzato alla centrale in via di ultimazione potrà essere controllato dagli esperti della AIEA in qualsiasi momento.
La seconda questione aperta è di tipo politico. Quale messaggio sta ricevendo oggi l’Iran? Con le sanzioni in corso decise al Consiglio di Sicurezza dell’Onu la Russia ha rotto il fronte internazionale. Le dichiarazioni delle autorità di Teheran sono eloquenti: è stata premiata la nostra fermezza; abbiamo vinto; giornata storica. Mosca pare più interessata alla conquista del mercato mondiale dell’energia atomica civile ed al miliardo di dollari da incassare che a seconde ragioni.
Il Cremlino, tuttavia, non abiura le scelte del dopo Bush e il “reset” nelle relazioni con Washington. I militari russi hanno reso noto che la consegna dei sistemi difensivi SS-300, già acquistati dall’Iran, rimane congelata.
Il braccio di ferro tra maggioranza filo-europeista e minoranza comunista continua senza sosta. Il presidente ad interim e speaker del Parlamento Mihai Ghimpu ha annunciato di non voler sciogliere l’Assemblea legislativa se il referendum di riforma costituzionale del 5 settembre dovesse fallire. “Non voglio il caos – ha osservato il capo di Stato facente funzioni nel corso di un’intervista -. Servono le giuste condizioni per una tale scelta”. La Carta fondamentale indica, invece, nelle elezioni generali la soluzione a questo tipo di problemi.
L’ex presidente, nonché leader del Pc moldavo, Vladimir Voronin aveva lanciato, in precedenza, un appello agli elettori a boicottare la consultazione del 5 settembre che ha l’obiettivo di emendare la Costituzione in vigore. Se la proposta dei filo-europeisti passasse il capo dello Stato sarebbe eletto direttamente dal popolo e non dalla maggioranza dei deputati del Parlamento come è avvenuto in passato.
La crisi politica in Moldova dura dalle parlamentari del 5 aprile 2009. Allora il Pc ottenne 60 mandati, ma i filo-europeisti riuscirono a bloccare la nomina del capo dello Stato. Servivano 61 voti per scegliere il successore di Voronin. L’Alleanza per l’integrazione europea fece così sciogliere l’Assemblea legislativa in ottemperanza della Costituzione.
Le successive parlamentari del 19 luglio 2009 decretarono la vittoria dei 4 partiti filo-romeni con il Pc all’opposizione. La coalizione di governo conta 54 voti, mentre i comunisti 43, 4 sono gli indipendenti. Tutti i tentativi di eleggere un presidente sono finora falliti.
I filo-europeisti hanno intrapreso una dura politica anti-russa, che ha provocato un nuovo embargo da parte di Mosca del vino moldavo, principale risorsa della repubblica ex sovietica.
Quest’interminabile empasse politica rischia di mettere in serio pericolo la stessa esistenza del Paese, in cui elementi latini e slavi sono mischiati tra loro. Alcune forze spingono affinché la Moldova diventi una regione della Romania.
Il pericolo è locale, non per le aree più lontane. Vladimir Cjurov, direttore del programma energetico di Greenpeace Russia, non condivide il cosiddetto “nuovo rischio Cernobyl”, tanto agitato dai giornalisti occidentali. La sensazione è che qualcuno ci stia speculando sopra.
“Attenzione – spiega lo studioso, non troppo tenero col potere federale, – vi sono degli incendi nei boschi dove non vi sono, però, materiali radioattivi, bensì residui tossici della tragedia di Cernobyl del 1986. Essi possono essere pericolosi per i pompieri e la gente del luogo e provocare dei problemi, ma non morte o invalidità. Purtroppo l’effetto localmente ci sarà”.
Come giudica la situazione a Mosca e nel resto del Paese? “Quella generale sta migliorando, ma non bisogna pensare di aver vinto questa battaglia. Abbiamo le foto della Nasa. Non cadiamo in ottimismi fuori luogo”.
Chi ha la responsabilità di quello che sta accadendo? “Sono stati commessi degli errori imperdonabili. E’ stato praticamente sciolto il corpo delle guardie forestali, che sarebbe stato utilissimo per scoprire gli incendi in fase iniziale e non quando già occupavano aree enormi. Nel 2000, con l’insediamento del presidente Putin, passò la prima riforma del settore. 50.000 guardie circa vennero mandate via. Nel 2007 questa linea fu confermata con l’approvazione del codice boschivo”.
Ma come è possibile che la Russia proponga all’estero di comprare i suoi Canadair e poi non ha sufficienti mezzi in Patria? “Questo è un paradosso che riflette la situazione politica interna. Non esiste l’interesse nazionale, ma quello di ben determinate persone o gruppi. Se questi signori vogliono fare soldi per vendere aerei, perché no? A giugno la Protezione civile era impegnata in Grecia, ma non c’era un solo mezzo per spegnere i roghi nella regione di Ivanovo”.
Quali altri rischi atomici esistono oggi in Russia? “Bisogna stare attenti alle centrali nucleari. Primo: esse non devono restare senza erogazione di energia elettrica per gli incendi. Secondo: l’acqua utilizzata negli impianti ha una temperatura pericolosa già vicina ai 30 gradi. Terzo: per il caldo un trasformatore è bruciato alla centrale di Novovoronezh il 4 agosto scorso ed il sistema è stato immediatamente fermato”.
In conclusione, quanto tempo serve per tornare alla normalità? “Per l’ecosistema ci vorranno 10 anni, per la gente esposta un paio di anni. Nel 1998 lo smog ed il fumo a Khabarovsk nell’Estremo oriente russo provocarono un innalzamento del tasso dei problemi respiratori del 30%”.
Ora la Polonia ha il suo destino nelle mani. Lo spauracchio di una nuova complessa coabitazione è stato sconfitto. Il Paese slavo può muovere verso le riforme che necessita senza ulteriori ostacoli e con il vento davvero in poppa. Non sfruttare un’occasione del genere sarebbe imperdonabile.
Il duo Komorowski-Tusk non deve, però, sottovalutare alcuni elementi. Dalle presidenziali la Polonia è uscita spaccata in due: le regioni occidentali e settentrionali, più avanzate economicamente, hanno dato la loro preferenza al vincitore, mentre quelle meridionali ed orientali a Jaroslaw Kaczynski. Il timore, che politiche troppo liberali intacchino i precari equilibri sociali, è ben evidente. Se il sistema pensionistico o quello degli ammortizzatori verranno rivisti bisognerà farlo con estrema attenzione.
Il tragico incidente aereo di Smolensk, in cui ha perso la vita buona parte dell’establishment del Paese, è stato un colpo terribile, che, però, ha portato maggiore unità e ridotto i tradizionali toni polemici. La Polonia ha tutto per garantirsi un futuro stabile e prospero. A parte i copiosi investimenti d’oltreoceano i fondi europei – 67 miliardi di euro dal 2007 al 2013 -, versati dagli occidentali come ricompensa per aver dimenticato i polacchi per 4 decenni oltre Cortina, offrono la possibilità al Paese di diventare nel XXI secolo un polo di riferimento nel Vecchio Continente.
Terminati i vari effetti psicologici, l’epoca dei Kaczynski si è probabilmente chiusa. I due gemelli hanno costruito la loro fortuna sulle paure del cambiamento, presenti in ampi strati della popolazione, sul nazionalismo e sul conservatorismo tipico di questa gente. La Polonia di oggi è diversa da quella del 2005 uscita con non pochi cocci rotti per l’adesione all’Unione europea.
L’adesione all’euro diventa ora il primo obiettivo del duo Komorowski-Tusk. Europeismo, Alleanza atlantica e riappacificazione con la Russia sono i capitoli centrali in politica estera.
Come dimostrano le partecipazioni agli interventi in Irak ed Afghanistan, il peso internazionale della Polonia tenderà a continuare a crescere. Non è un caso che Barack Obama, dopo aver rinunciato al dispiegamento dello Scudo spaziale strategico in Europa centrale, stia mettendo in piedi un mini-Scudo regionale. Varsavia è sempre in prima fila in questo tipo di discorsi come dimostra la quasi elezione del ministro Sikorski a segretario della Nato nell’estate passata. Una Polonia solida, stabile e democratica è dopotutto una sicurezza anche per i vicini tedeschi e russi.
Un’ultima considerazione in chiave italiana. Kaczynski si era già fatto fotografare davanti agli stabilimenti Fiat di Tychy. Dopo la sua elezione avrebbe fatto di tutto per difendere l’industria dell’automobile in Polonia. Questo non significa affatto che Komorowski sarà da meno.
Giuseppe D’Amato
Un viaggio per la democrazia. Così è stata definita dal suo staff la tournée di 5 giorni di Hillary Clinton in Europa centro-orientale ed in Caucaso, nel cosiddetto “cortile di casa” del Cremlino.
Duplice e significativo il messaggio all’intero spazio ex sovietico: continuate sulla strada delle riforme democratiche e non temete dal riavvicinamento tra le due ex superpotenze della Guerra Fredda e dalla loro nuova politica del “reset”, iniziata con l’insediamento alla Casa bianca di Barack Obama. Tutti ne hanno da guadagnare.
In Ucraina il Segretario di Stato Usa ha sottolineato che c’è posto nell’Alleanza Atlantica se Kiev farà richiesta di adesione. La questione era stata sollevata dalla precedente presidenza Jushenko, ma è poco popolare tra la popolazione. Il neo-leader ucraino Janukovich ha scelto una politica di neutralità e di equilibrio tra est ed ovest.
In Polonia la Clinton ha firmato col collega Sikorski un accordo di modifica di precedenti intese siglate dall’Amministrazione Bush per dislocare qui lo Scudo spaziale strategico, che aveva come obiettivi lanci di missili a lungo raggio. Obama ha abbassato il pericolo a lanci isolati di vettori a medio e corto raggio. Stanno così nascendo mini-Scudi regionali. Una base militare di questo sistema sarà proprio in Polonia.
La Clinton ha invitato armeni ed azeri a trovare una via d’uscita all’annosa questione dell’enclave del Nagorno-Karabakh. Una soluzione condivisa, ha spiegato il Segretario di Stato, sarà la base della stabilità e della prosperità dei due Paesi caucasici.
Estremamente complessa è stata la tappa in Georgia, dove il capo della diplomazia statunitense ha incontrato sia le autorità al potere che l’opposizione. Washington ha ripetuto sempre e comunque il suo appoggio incondizionato all’integrità territoriale ed alla sovranità della Georgia. Qui la Clinton ha criticato “l’occupazione” da parte della Russia delle repubbliche secessioniste dell’Abkhazia e dell’Ossezia meridionale ed ha invitato Mosca a rispettare le intese che hanno messo fine alla guerra dell’agosto 2008.
Gli Stati Uniti di Obama hanno cambiato strategia e non appoggiano più, come successe in passato con l’Amministrazione Bush, le cosiddette “rivoluzioni colorate”, che avevano messo a soqquadro l’intero spazio ex sovietico, soprattutto quello fedele al Cremlino. Lo sguardo di Washington si volge adesso ad altri teatri regionali, dove gli Usa stanno giocandosi la leadership mondiale. Avere la Russia al proprio fianco, come nel caso del problema nucleare iraniano, significa avere maggiore possibilità di successo. La Clinton è, però, riuscita a rassicurare i Paesi filo-occidentali dell’area ex sovietica. Il terzo e più importante messaggio per loro è stato: “non vi dimenticheremo”.
E’ stato un lungo testa a testa che solo all’alba consolida il piccolo vantaggio di Bronislaw Komorowski. Troppa l’incertezza legata ai dati degli exit polls: circa 6 i punti di differenza tra i due candidati. In serata Kaczynski aveva ammesso la sconfitta, ma Komorowski non aveva festeggiato, aspettando la conta ufficiale.
“E’ stata una campagna elettorale particolare – ha osservato lo speaker della Camera bassa del Parlamento – sviluppatasi all’ombra di una catastrofe”. Anche Jaroslaw Kaczynski non ha mancato di ricordare il fratello presidente Lech, morto nella tragedia aerea di Smolensk in aprile.
“Dobbiamo continuare – ha detto il leader conservatore per cambiare la Polonia. Un movimento è nato dalla morte di quei martiri”.
58 anni, cattolico, padre di 5 figli Komorowski è per rafforzare le riforme di mercato e per velocizzare l’integrazione del Paese nell’Unione europea. Alleato del premier Donald Tusk non utilizzerà il veto del capo dello Stato con la stessa frequenza come fece il predecessore Lech Kaczynski.
Ennesimo litigio tra Mosca e Minsk con l’Europa a farne le spese. Chi tra i due contendenti abbia ora ragione non è facile stabilirlo. Gli uni pretendono il pagamento del gas consumato, gli altri quello dei diritti di transito.
Per ragioni politiche e geostrategiche, per oltre un decennio, il prezzo degli approvvigionamenti energetici russi a Minsk è stato di favore, quasi quello che pagano le regioni della Federazione. Su questo vantaggio non da poco, il presidente Lukashenko è riuscito ad evitare il crollo industriale-economico degli anni Novanta in Bielorussia e a dare stabilità al suo Paese.
Le cose sono cambiate dopo la “rivoluzione arancione” pro-occidentale in Ucraina nel 2004. Il Cremlino, attraverso la Gazprom, è passato all’incasso, provocando la rabbia di Lukashenko, che l’amministrazione Bush ha definito “l’ultimo dittatore” d’Europa. In sintesi, non più rapporti alla sovietica, quasi completamente basati sul barter, ma contatti pagati con soldi sonanti a prezzi di mercato o quasi.
La Bielorussia vive un momento particolare: il prossimo anno sono previste le elezioni presidenziali e l’economia ha subito i colpi della recessione internazionale. Lukashenko aveva chiesto di saldare alcuni pagamenti in macchinari, ma il collega Medvedev gli ha risposto pubblicamente in maniera considerata da Minsk sprezzante. “Scusate – ha evidenziato il leader bielorusso -, ma quando iniziano ad umiliarci noi ci offendiamo. Così non si deve permettere di comportarsi un presidente di un Paese amico, un presidente che dirige in pratica lo stesso popolo”.
Quindi se la Gazprom ha tagliato i rifornimenti del 30% fino all’85% del gas consegnato, Minsk ha colpito il “tallone d’Achille” russo, ossia ha sospeso il passaggio di gas russo verso ovest. Sul suo territorio transita, però, in realtà solo il 20% circa del totale degli approvvigionamenti al Vecchio Continente. E poiché uno dei due gasdotti, Jamal-Europa, è controllato dai russi la decisione di Minsk riguarda solo il 6,25% dei volumi totali all’Ue. I disagi saranno, perciò, minimi. Lukashenko ha un’arma spuntata, ma può dar fastidio lo stesso oggi. Sa perfettamente che i russi stanno costruendo un gasdotto sotto al Baltico insieme ai tedeschi, il Nord Stream, che verrà terminato nel 2011. La Bielorussia vedrà così la sua rilevanza strategica ridursi.
L’anno scorso i due Paesi fratelli si affrontarono nella guerra del petrolio con relativo blocco di oleodotti. Il contendere era il privilegio dei bielorussi di rivendere il greggio russo sul mercato internazionale senza pagare dazi a Mosca. Minsk, alla, fine fu costretta a cedere.
Ma gli screzi e le querelle non finiscono qui. Lukashenko è irritato dalla posizione egemone del Cremlino nella neo-nata Unione doganale (Russia, Bielorussia, Kazakhstan). Non gli è chiaro quali imposte verranno cancellate e a chi. Indirettamente si è reso conto che, dopo 16 anni di presidenza, Mosca lo vuole probabilmente scaricare se troverà un altro leader di sua fiducia. Al duo Medvedev-Putin non è piaciuto la concessione dell’asilo politico all’ex capo di Stato kirghiso Bakiev.
L’Unione europea si trova, pertanto, coinvolta in uno scontro altrui. Dare forza al suo programma “Partnership orientale” con Minsk sarà in futuro probabilmente l’unico modo per evitare sgradevoli sorprese.
La campagna elettorale di Jaroslaw Kaczynski si è conclusa là dove era iniziata, ossia sulla tomba del fratello Lech, morto nell’incidente di Smolensk il 10 aprile scorso. Per due mesi i candidati alle presidenziali hanno smorzato i toni, evitando roventi polemiche. La Polonia vive queste settimane post lutto, dedicate alla politica, con minore intensità rispetto a quanto sarebbe accaduto senza la tragedia che l’ha privata di parte della sua classe dirigente. Persino il superfavorito Bronislaw Komorowski è apparso un po’ spuntato quando ha dovuto affrontare certi argomenti.
Il candidato liberale di Piattaforma civica ha tutto da perdere in queste presidenziali anticipate. In marzo gli ultra-conservatori Kaczynski apparivano fuori gioco e sconfitti già al primo turno. Ora l’aspetto psicologico può giocare strani scherzi. In poche settimane Jaroslaw gli ha rosicchiato punto dopo punto: da 15-20 lunghezze a forse 6, asseriscono alcuni sondaggi.
Gli osservatori sono delusi dalla campagna elettorale di Komorowski, definita “caotica” senza una chiara strategia. Troppi gli errori e le gaffe commesse. Il candidato liberale ha l’indubbio vantaggio che la Polonia del 2010 è un Paese differente rispetto a quello che ottenne una problematica adesione all’Ue nel maggio 2004. La successiva crisi psicologica e politica, provocata dall’entrata nei Ventisette, aiutò a rinvigorire il “fenomeno Kaczynski”. Oggi l’economia nazionale cresce a tassi inimmaginabili negli altri Paesi Ue grazie all’export ed agli investimenti stranieri anche se il tasso di deficit rispetto al Pil è elevato. Nel 2010 le previsioni sostengono che il debito pubblico sarà solo il 54% circa del Pil. La conduzione del liberale Tusk sta mietendo successi.
Jaroslaw Kaczynski, dal canto suo, ha moderato i suoi soliti modi duri e smorzato le sue posizioni conservatrici. Sa perfettamente che per vincere dovrà ottenere il sostegno dei moderati e prendere dei voti a sinistra, dove i socialdemocratici di SLD, ridotti ai minimi termini alle ultime parlamentari, presentano un candidato giovanissimo, il 35enne Grzegorz Napieralski. Indirettamente lo staff di Legge e Giustizia lavora anche sull’effetto psicologico a proprio vantaggio. “Molta gente – osserva una collega giornalista di Varsavia – sta iniziando a rivalutare l’operato del presidente Lech Kaczynski, che ora viene presentato come un ‘custode’ della Patria. Tutto quello che faceva non era poi sbagliato, questo il messaggio”.
Le campagne elettorali sono fatte per unire e per dividere. I polacchi sembrano aver voglia di tranquillità e del riposo delle ferie.
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