La notizia tanto attesa è arrivata. Il prossimo 8 aprile presidenti Medvedev ed Obama si incontreranno a Praga, città simbolo della Guerra Fredda, per firmare il nuovo Start. L’annuncio ufficiale è stato pubblicato contemporaneamente sui siti del Cremlino e della Casa bianca dopo l’ultima decisiva conversazione telefonica tra i due capi di Stato.
Qualche settimana fa il presidente ucraino Janukovich aveva proposto di organizzare la firma a Kiev: la Russia sembrava d’accordo, gli americani no. La documentazione con le richieste ufficiali di autorizzazione per l’organizzazione dell’evento a Praga sono state consegnate mercoledì scorso. Il presidente ceco Klaus ha dato il suo immediato assenso.
L’accordo stabilisce un tetto di 1.550 testate, 800 vettori, 700 tra missili balistici intercontinentali e quelli a bordo dei sottomarini ciascuno. I russi riducono il loro attuale arsenale di circa il 30%, gli americani del 25%. Il vantaggio economico è enorme: verranno spesi meno soldi per la manutenzione e ve ne saranno di più per lo sviluppo di armi più moderne. Si evita così che appaiano terzi incomodi che ne approfittino dei due litiganti. Tanto russi ed americani hanno armi da poter distruggere il mondo migliaia di volte ed un vantaggio tecnologico che, per decenni, sarà incolmabile.
“Sono stati rispettati gli interessi dei due Paesi”, ha sottolineato Medvedev. La conclusione dell’accordo segna per il capo del Cremlino “il passaggio della cooperazione bilaterale ad un più alto livello”. Il presente accordo è, per Barack Obama, il più ampio documento concordato in due decenni.
Il nuovo Start dovrà essere ratificato dai rispettivi Parlamenti dopo la firma di Praga. “Entro aprile” in contemporanea, ha proposto il ministro degli Esteri Serghej Lavrov. I russi temono imboscate ad Obama dei repubblicani in Senato. Sono riusciti finalmente a vedere legalmente riconosciuto il nesso tra armi offensive e sistemi di difesa anti-missilistici.
Russia e Stati Uniti “inviano un segnale sul loro ruolo di leadership”, ha evidenziato il presidente Usa. Il 13 aprile Medvedev ed Obama si presenteranno a Washington alla Conferenza internazionale sulla sicurezza nucleare, poi in maggio a quella sulla proliferazione, con un’investitura morale che nessun leader ha mai avuto nella storia. Indirettamente lo Start-3 è un chiaro messaggio ad “Iran e Corea del Nord” e a quanti vogliano dotarsi illegalmente di armi letali.
Per Barack Obama questo accordo è il primo passo verso la realizzazione di quel “mondo senza armi nucleari” di cui il presidente Usa parlò proprio a Praga il 5 aprile 2009. Il capo della Casa bianca ha più volte ripetuto che ci si arriverà tra molti decenni. Questo è solo l’inizio.
Vedi anche Tra Start e Scudi – Dossier sempre su EuropaRussia.
Trattato Start e Scudi non strategici regionali. In queste settimane la comunità internazionale sta scegliendo la nuova architettura militare per il 21esimo secolo. I contatti ufficiali ed informali sono febbrili e segreti. Sta nascendo il nuovo mondo post Guerra Fredda.
A Ginevra i negoziatori delle due superpotenze del Ventesimo secolo sono vicini a chiudere il nuovo Start, sulla riduzione degli armamenti strategici, scaduto il 5 dicembre scorso. Russi ed americani avranno 1.500 testate nucleari operative a testa. E’ stato definito poi un complesso sistema di controlli.
Il 12 aprile, affermano fonti moscovite, il nuovo trattato verrà firmato a Washington prima del summit sulla sicurezza nucleare. La ratifica parlamentare, però, dovrà avvenire in contemporanea. I veri grattacapi ce li ha Obama, che al Senato può contare oggi solo su 59 voti e per approvare lo Start – i cui aspetti negoziali pubblici sono stati criticati dai repubblicani – ne servono 67 su 100. Obama vorrebbe risolvere il problema prima delle elezioni d’autunno. Il Cremlino, però, non si fida. Ha tra le mani un accordo che considera inaspettatamente vantaggioso dopo anni di ritirate.
Ma potrebbe essere la vittoria di Pirro. Barack Obama ha rivoluzionato la strategia Usa: ha rinunciato allo Scudo spaziale globale di Bush (quello contro i missili intercontinentali) per ragioni economiche e tecnologiche; ha dato il via libera a quelli “non strategici” regionali – più pratici ed in funzione in breve tempo. Il pericolo ufficiale è l’Iran con i suoi missili a corto e medio raggio. Stati Uniti e Russia non ne dispongono dal 1991.
Il Cremlino è stato così preso in contropiede. In Europa centro-orientale è iniziata la corsa alla partecipazione a questi sistemi. La Polonia ha accettato di ospitare a Morag (nei pressi del confine russo) i “Patriot-3”, venendo in questo modo ricompensata per la perdita settembrina dei 10 intercettori dello Scudo spaziale. Romania e Bulgaria hanno fatto altrettanto a metà febbraio. Durissime note diplomatiche si sono scambiate Mosca e Sofia, un tempo storiche alleate.
Durante la Guerra Fredda le due superpotenze si erano accordate per limitare lo sviluppo delle difese anti-missilistiche con lo scopo di rafforzare la deterrenza nucleare. Ma adesso il pericolo viene da lanci di terzi.
Questi “mini-Scudi” locali, su cui il Cremlino ha chiesto chiarimenti, non sono in grado di fermare i missili intercontinentali (a lungo-raggio). Come tutta risposta la segretaria di Stato Usa, Hillary Clinton, ha addirittura ipotizzato una Russia all’interno della Nato. La Casa bianca è pronta a far partecipare subito Mosca alla partita. A Bruxelles alti ufficiali dell’Alleanza atlantica si sono appena incontrati con quelli russi per discutere gli aspetti tecnici.
Contemporaneamente ha colpito la quasi non-curanza americana per la possibile vendita di 4 navi francesi della potentissima classe “Mistral” a Mosca. Un affare semplicemente epocale. Il Cremlino sarebbe in grado di risolvere una crisi tipo quella georgiana in poche ore. L’intero Baltico, futura dislocazione delle unità, è in subbuglio.
Ma alla Casa bianca si punta al bersaglio grosso. Si è aperta la possibilità di creare più difese anti-missilistiche regionali comuni a Russia, Nato e Stati Uniti. Evidenti le conseguenze per l’intero pianeta. Dalle parole si sta pongono le fondamenta per la stabilità strategica europea. Il nodo cruciale è se il Cremlino – messo al corrente a giochi fatti – accetterà di essere un membro di questo accordo e non il protagonista principale.
Giuseppe D’Amato
Una grande mostra fotografica per far rivivere l’atmosfera di speranze e di contraddizioni del “Disgelo” post-staliniano. Mai come adesso alla piazza del Maneggio, sotto al Cremlino, i russi hanno potuto apprezzare immagini storiche ed inedite di Nikita Krusciov e del suo tempo, miscelate con una sapiente regia.
Calvo, tarchiato, famoso per la sua semplicità – che spesso sconfinava in vera rozzezza come quando sbatté una scarpa sul tavolo mentre parlava dal palco delle Nazioni Unite – il leader comunista è ritratto in occasioni ufficiali ed in quelle familiari. “Era certamente fotogenico – afferma in un filmato che ha presentato l’evento culturale, Viktor Achlomov, specialista negli anni Sessanta per il quotidiano ‘Izvestija’ ed autore di alcuni degli scatti in mostra -. Krusciov era come una macchina che si dava energia da sola. Non era importante come lo fotografavi. Lui veniva sempre bene”.
Il visitatore è colpito dalla disposizione a “m” dell’esibizione, dove la prima e la terza fila ripropongono momenti della vita del protagonista ed in quella centrale si celebra il gotha della cultura tra il 1956 ed il 1964, tra cui Gina Lollobrigida durante una sua visita a Mosca. In una minuta saletta laterale il pubblico ha anche la possibilità di assistere alla proiezione continua dei capolavori cinematografici sovietici dell’epoca.
Succeduto a Stalin, morto il 5 marzo 1953, Nikita Krusciov vinse la battaglia per la successione. Nel febbraio ’56 denunciò i gravissimi crimini contro l’umanità perpetuati dal “padre dei popoli”, favorendo una breve boccata di libertà, conclusosi con la sua deposizione e sostituzione con Leonid Breznev nell’ottobre ‘64.
Il suo fu un periodo controverso in cui i prigionieri politici tornarono dai gulag, venendo spesso riconosciuti come innocenti, ma furono represse nel sangue rivolte come a Budapest nel ’56 o a Novocerkassk nel ’62. Lo scambio di visite ufficiali con gli americani non evitò la crisi dei missili sovietici a Cuba con il mondo sull’orlo dell’Apocalisse. L’Urss aprì una piccola porta e si mostrò timidamente alla comunità internazionale con l’organizzazione di festival della gioventù o del cinema. La sua nazionale di calcio vinse i primi campionati europei nel ’60.
Gigantesca è la prima fotografia (unica a colori), in cui ci si imbatte all’ingresso, con Krusciov in compagnia del leader jugolavo Tito che guardano insieme la campagna. Poi ne seguono tre o quattro in cui si ritraggono Jurij Gagarin e la sua incredibile impresa. L’Urss era riuscita, precedendo gli Stati Uniti, a mandare un uomo nello spazio nel 1961. Subito dopo vengono gli scatti di gioventù dall’archivio familiare e quelli in cui si raccontano i primi passi della carriera politica negli anni Trenta.
Durante la Guerra Krusciov è responsabile politico a Stalingrado e partecipa alla liberazione del Paese. Quindi la scomparsa di Stalin ed il Ventesimo congresso del partito comunista. Le fotografie con i giovanissimi Fidel Castro e John Fitzgerald Kennedy mostrano ancor di più la differenza d’età e di spessore culturale tra Krusciov ed i suoi interlocutori d’oltreoceano. Ad un certo punto, si vede il leader comunista passeggiare da solo in un campo di grano, sua croce e delizia, dopo il viaggio americano. Quindi il declino, con scatti in cui l’ex amico Breznev compare sempre più minaccioso alle sue spalle fino alla sostituzione ed il lungo soggiorno agli arresti in una dacia fuori la capitale.
La grande affluenza di pubblico, anziano e meno, ha sancito il successo di questa iniziativa. E’ stata riproposta una pagina di verità dopo le falsità circolate durante la stagnazione brezneviana. I russi, sempre alle prese con opposte interpretazioni del loro complesso passato recente, paiono averla apprezzata.
Giuseppe D’Amato
In Ucraina tutto secondo le attese. La coalizione che reggeva il governo Timoshenko si è sfaldata e la premier è stata sfiduciata. 243 su 450 i voti che hanno sancito la fine di uno degli Esecutivi più longevi della storia nazionale.
Contro la Timoshenko hanno votato anche 7 parlamentari del suo blocco, un gruppo facente parte di “Nostra Ucraina” dell’ex presidente Jushenko e 3 indipendenti.
Le consultazioni tra le forze politiche sono febbrili. Bisogna fare presto anche perché la gravissima situazione economica nell’ex repubblica sovietica non lo consente.
Lo scenario parlamentare che appare è assai frammentato, come da tradizione. Servono 226 voti ed il neo capo dello Stato, Viktor Janukovich, ha dalla sua parte 175 seggi del Partito delle Regioni, più i 20 del “blocco Litvin”. Decisivo sarà il ruolo di “Nuova Ucraina” con 72 voti a disposizione. Per legge ci sono 30 giorni per trovare un accordo, altrimenti elezioni anticipate il 30 maggio prossimo. Un’eventualità questa sconveniente soprattutto per i deputati vicini a Jushenko che dalle urne verrebbero penalizzati.
La Timoshenko, che se n’è andata in ferie rifiutando di svolgere persino i compiti di ordinaria amministrazione, ha denunciato manovre sotterranee per far diventare l’ex presidente primo ministro. I due uomini della politica nazionale, tra di loro accordatisi prima delle elezioni di gennaio, l’avrebbero fatta fuori.
“Serve una squadra di professionisti che segua un unico programma”, ha mischiato le carte Janukovich, soppesando ogni singola parola in un’intervista alla tivù russa. Come dire, gli assi in mano li ho ora io, per Jushenko vedremo. La coabitazione tra i due durò un anno, a cavallo tra il 2006 ed il 2007, ma furono numerosi gli screzi.
Fonti del Partito delle Regioni, vincitore delle ultime tre consultazioni, sono certe che una coalizione di governo verrà formata presto. La recente storia passata afferma, però, esattamente il contrario. Il rischio è che inizi la solita “roulette ucraina” fino all’ultimo secondo.
I rapporti franco-russi sono tornati normali dopo la crisi georgiana dell’estate 2008. Parigi e Mosca stringono affari commerciali vantaggiosi ed accordi militari di un’importanza inusuale, guardando ad un futuro prossimo con una minore influenza Usa nel Vecchio Continente.
La società GDF Suez è entrata nel consorzio per la costruzione del gasdotto a conduzione tedesca North Stream con una quota pari al 9%. In precedenza, in dicembre, l’EDF aveva fatto ingresso in quello del South Stream – capitanato dall’italiana Eni –. Entrambi questi mastodontici progetti sottomarini mirano a garantire una maggiore stabilità nelle forniture energetiche russe all’Europa, evitando il passaggio sul territorio di Paesi terzi come Ucraina e Bielorussia.
I tre giorni del presidente Medvedev a Parigi sono stati ricchi di appuntamenti. Accompagnato da un centinaio di imprenditori, il capo del Cremlino ha cercato investitori e compagnie che portino tecnologia in Russia. Le maggiori discussioni hanno riguardato il settore automobilistico con la Renault e quello delle costruzioni per le Olimpiadi di Sochi 2014. Incoraggianti i risultati in campo culturale (il 2010 è l’anno della Francia in Russia e viceversa) ed in quello spaziale con l’utilizzo dei vettori Sojuz per il lancio di satelliti transalpini.
La Francia sta valutando la vendita di 4 navi da guerra della classe Mistral da dislocare nel mar Baltico. In poche ore i russi potrebbero essere in grado di trasportare un grosso numero di truppe. Mai in passato un membro della Nato aveva messo in preventivo una scelta del genere. I Paesi baltici hanno reso noto la loro contrarietà ed hanno chiesto un intervento di Washington. “Sarebbe il simbolo della nostra fiducia”, ha dichiarato il presidente Sarkozy.
Il collega Medvedev si è detto disponibile a sanzioni “intelligenti” contro l’Iran. Il trattato Start tra le due superpotenze della Guerra Fredda, scaduto nel dicembre scorso, dovrebbe chiudersi presto. Su questo ultimo punto una fonte dell’Amministrazione Obama ha confermato che gli Stati Uniti si preparano ad una riduzione spettacolare del loro arsenale nucleare, mantenendo, però, la deterrenza.
Dietro alle quinte ci si sta preparando alla costruzione degli Scudi, ossia delle difese anti-missilistiche, considerando che Paesi, definiti un tempo “canaglia”, hanno ormai sviluppato tecnologia in grado di colpire a medio raggio. Ecco il perché, per la rabbia del Cremlino, Paesi come Romania e Bulgaria sono disponibili ad ospitare pezzi dello Scudo USA e la Polonia è pronta a dislocare altri tipi di armi americane sul suo territorio.
Peggio di così nemmeno negli incubi più terribili. La Russia olimpica ha collezionato figuracce in serie a Vancouver. Per la prima volta dopo 46 anni rappresentanti di Mosca non hanno vinto l’oro nella danza a coppie sul ghiaccio. Lo “zar” dei palazzetti, Evghenij Plushenko, è arrivato soltanto secondo nell’individuale. Nell’ultimo triennio questo biondino slanciato e dalla battuta pronta è diventato più una “stella” superpagata della televisione che uno sportivo affamato di competizioni. Nel biathlon e nello sci di fondo dei russi non c’è traccia, come se questi si siano persi nei boschi della British Columbia.
L’enorme gigante slavo, già prostrato da una dura recessione economica condita da un’inattesa crisi psicologica tra la gente, è rimasto attonito. Le Olimpiadi invernali sono per i russi come i mondiali di calcio per gli italiani. “E’ il destino!” il tipico commento fatalista dell’uomo della strada, inviperito per le notizie d’oltreoceano.
“Vinciamo 31 medaglie, di cui 11 d’oro”, aveva bellamente preannunciato il capo della Federazione Olimpica, Leonid Tjagaciov, due giorni prima dell’inizio delle gare. I parlamentari russi sono furiosi e hanno invitato lui ed il ministro dello sport Vitalij Mutko ad andarli a trovare alla Duma. La data dell’audizione è stata fissata ed alcuni partiti chiedono la loro testa. In altri tempi un lungo soggiorno in Siberia non glielo levava nessuno.
Nella giornata di chiusura il presidente Medvedev aveva in programma un viaggio a Vancouver per prendere il testimone per Soci, sede delle prossime Olimpiadi nel 2014. Invece forfait. Il governo federale ha tagliato pesantemente il budget dello Stato per il 2010, ma i fondi per i Giochi… quelli no. La valanga di petro-rubli, per mostrare al mondo il volto nuovo della Russia post sovietica, non è stata nemmeno sfiorata dalla crisi. Dopo il disastro di Vancouver la Corte dei conti vuole mettere il naso nel superbilancio per Soci. Dopo le debacle sportive quelle per le infrastrutture non all’altezza?
In Canada “Casa Russia” è stata forse la più elegante. Non si è badato a spese. Oltre a luculliani banchetti offerti, sono stati portati cantanti e ballerini per mitigare la nostalgia per la Patria lontana. “Ma dove sono gli sportivi?” – si è domandato un giornalista di una tivù non schierata col potere. – “Abbiamo visto soltanto funzionari, deputati e pezzi grossi”.
Giovedì 25 febbraio, il colpo definitivo: 7-3 contro gli eterni avversari canadesi. E’ stata la delusione che probabilmente ha fatto cadere le braccia a Medvedev, ma non all’indomito Putin, che ha invitato il Paese a tirarsi su di morale. “Nel 2014 andrà meglio”, il messaggio. La settimana prima contro la Slovacchia di hockey per la Russia è stata una “Corea”. E pensare che davanti alla sede della Federazione di hockey canadese a Toronto fa bella mostra una targa in cui si ricorda un’epica vittoria della nazionale locale contro quelli che un tempo erano considerati i mostri sovietici. Correva voce addirittura che quegli “orsi” imbattibili sui pattini avessero i bastoni più lunghi del consentito.
“La nazionale russa più scarsa della storia”, scrivono alcuni giornali. “Perlomeno abbiamo vinto la medaglia d’oro delle giustificazioni”, osserva Ajder Muzhdabaev su “Mk”. La più originale è stata che “laggiù fa troppo caldo per noi!” Il magnate Prokhorov è presidente della Federazione di biathlon e da poco ha acquistato la squadra di basket dei New Jersey Nets, da lui ritenuta possibile pretendente al titolo Nba. “Bravo, signor oligarca – sottolinea ironicamente Muzhdabaev -. Ma non si poteva tanto per iniziare, prima di realizzare i suoi incredibili piani napoleonici, vincere perlomeno una medaglietta nel biathlon?”. “Siamo nelle mani di dilettanti – sbraita amaramente l’anziano Aleksandr Tikhonov, il biathlonista più vincente della storia, una leggenda vivente con 4 ori olimpici -. Se riescono a disperdere la nostra scuola bisognerà tagliargli la testa”. Nei prossimi mesi in Russia è prevista tempesta. Ma non è quella atmosferica!
Vancouver 2010
Russia |
3 ori | 5 argenti | 7 bronzi |
Polonia | 1 | 3 | 2 |
Italia | 1 | 1 | 3 |
Bielorussia | 1 | 1 | 1 |
Lettonia | 0 | 2 | 0 |
Viaggiare sognando ad occhi aperti lungo uno dei tragitti più affascinanti del mondo senza affaticarsi o rischiare imprevisti di qualsiasi genere è oggi possibile. Grazie ad un’iniziativa delle Ferrovie russe e di Google, la mitica Transiberiana è a portata di un semplice click, standosene tranquillamente seduti in poltrona davanti allo schermo del computer e non in un minuto ed affollato scompartimento.
Poche, ma strategiche, le scelte da fare. Prima: decidere se ascoltare in sottofondo il rumore delle rotaie o pezzi di musica classica russa con le immancabili balalajke o la lettura di brani tratti dalle immortali opere di Tolstoj e di Gogol. Seconda: a quali visite guidate partecipare nelle varie città dove fa sosta il treno?
Si parte finalmente dalla stazione capitolina Jaroslavskij, accomodati vicino al finestrino, sapendo che ad attenderci ci sono 9.259 chilometri fino al Pacifico, fino a Vladivostok *. Ci aspettano 150 ore imperdibili di panorami mozzafiato, attraverso 7 fusi orari e due continenti.
La caotica Mosca con i suoi imponenti grattacieli si allontana per lasciare posto all’immensità dello spazio. Cartine geografiche aggiornatissime fanno capire al viaggiatore dove si trova in quell’istante, quanto manca alla lontana meta finale. Foto coloratissime sembrano appena state scattate dal vicino di sedile.
Il fiume Volga si attraversa quasi subito. Il suo ampio letto, impressionante per un europeo occidentale, è poca cosa rispetto a quello dei fiumi siberiani, degli autentici mari in mezzo alla steppa. Finalmente si riesce a trovare il modo ed il tempo di ascoltare la lettura completa dell’enciclopedico Guerra e Pace!
Ecco Irkutsk. Si scende. Una graziosa biondina paragona la città a Genova. Non si capisce francamente la ragione. Le tradizionali case in legno, memoria di quando il centro siberiano – crocevia di traffici d’ogni tipo – era un borgo di frontiera, si stagliano in mezzo ad edifici moderni. Il lago Bajkal con le sue foreste di tipo scandinavo lascia senza parole.
Si vola verso est. Si supera Birobigian, prima capitale di uno Stato ebreo moderno, sul confine cinese. Poi Khabarovsk. Quando si entra a Vladivostok, una “San Francisco” in salsa russa per l’aspetto esteriore collinare-marittimo, le palpebre del viaggiatore sono diventate francamente due saracinesche implacabili.
Bellissima questa attraversata virtuale del gigante russo. Purtroppo, mancano gli odori e i casuali compagni di viaggio, ma soprattutto l’insostituibile vodka con pesce essiccato.
Giuseppe D’Amato
—
* C’è stato un piccolo taglio rispetto agli storici originali 9.288,2 km.
“Gli Stati Uniti rimangono un partner fedele del Kosovo”. Con queste parole il segretario di Stato Usa, Hillary Clinton, ha salutato, il 17 febbraio, il secondo anniversario dell’indipendenza dell’ex provincia serba, che, per Washington, ha tentato di svilupparsi come un’“aperta repubblica multinazionale e democratica”.
Di parere opposto Belgrado. “La Serbia non la riconoscerà mai come entità sovrana”, si legge in un messaggio del presidente Tadic, che ritiene “pericolosa” la “strategia di integrazione” messa in atto da Pristina nei confronti delle aree abitate dalla minoranza slava (120.000 persone). Queste zone, il 15% del territorio nazionale totale, non sono controllate dal governo centrale.
In Kosovo i festeggiamenti sono stati imponenti. Le 65 bandiere degli Stati, che hanno riconosciuto l’indipendenza, sono state esposte sul corso principale della capitale. Centro dei festeggiamenti è stato il Parlamento. “In questi 2 anni – ha detto il presidente Fatmir Sejdiu – abbiamo dimostrato al mondo che la nostra indipendenza ha portato pace e stabilità alla regione”.
Il neo Stato – uno dei più poveri d’Europa – che ha finora ricevuto 4 miliardi di euro in aiuti, necessita di altre donazioni. La disoccupazione arriva al 40% tra i 2 milioni di abitanti; lo stipendio medio si aggira sui 240 euro mensili. Il 65% della popolazione ha meno di 30 anni. La violenza tra le diverse nazionalità e la criminalità diffusa sono un ostacolo agli investimenti stranieri.
La Nato mantiene 10.000 militari e 2.000 poliziotti. “Il Kosovo resta una fonte ed un luogo di traffico illegale”, attesta una relazione della Commissione europea del 2009.
Tra i Paesi che non hanno riconosciuto l’indipendenza del neo Stato, oltre alla Serbia, anche Russia, Cina, India, Brasile, nonché 5 membri Ue tra cui la Spagna (assai vigile sui movimenti baschi e catalani).
Il “precedente” del Kosovo ha provocato nello spazio ex sovietico un autentico terremoto. Dopo la fine della guerra d’agosto con la Georgia nel 2008 il Cremlino ha riconosciuto l’indipendenza delle due regioni separatiste da Tbilisi dell’Ossezia meridionale e dell’Abkhazia.
L’Ucraina è diventata una vera democrazia europea. Questo il reale responso del tesissimo ballottaggio tra Viktor Janukovich e Julija Timoshenko. Kiev dimostra di essere una degna capitale del Vecchio continente. Viene ulteriormente rimarcato il dispiacere per il mancato inserimento dell’ex repubblica sovietica come membro dell’Ue, considerando soprattutto i risultati desolanti dell’allargamento del 2007 a Romania e a Bulgaria. Almeno così si sarebbero messe in sicurezza le rotte per le forniture delle materie prime, anche se si sarebbero ereditati altri grattacapi non da poco.
“Queste sono state un impressionante esempio di elezioni democratiche – ha evidenziato in una sorta di imprimatur il capo degli osservatori dell’Osce, il portoghese Soarez -. E’ l’ora che chi ha perso lo ammetta”. Una volta che sono state approntate misure contro i brogli – che l’avevano fatta da padrone nel 2004 – le operazioni di voto sono state regolari.
L’Ucraina è, quindi, oggi la maggiore democrazia dello spazio ex sovietico. Le radici storico-culturali-giuridiche di quello che fu lo Stato lituano-polacco non si sono, per fortuna, perdute nella notte dei tempi. E come nel Seicento Kiev fu la piattaforma per l’occidentalizzazione della Russia, avvenuta qualche decennio dopo con Pietro il grande, adesso si propone come modello da seguire. Perlomeno all’interno del mondo ex sovietico, in lento ed implacabile movimento verso ovest, se i “nipoti di Lenin” non vogliono essere fagocitati dalla neo superpotenza cinese.
Lo sconfitto della “rivoluzione arancione” diventa così presidente con 5 anni di ritardo. Viktor Janukovich ha compiuto un autentico miracolo. Da imbroglione certificato nel 2004 è ora un leader eletto dal popolo. Julija Timoshenko si è meritata l’onore delle armi, visto il recupero messo a segno. Il 17 gennaio aveva 10 punti di ritardo. Solo 700mila voti, un’inezia, l’hanno costretta alla resa. L’importante è che i due litiganti si mettano ora a collaborare per il bene del Paese, in preda ad una gravissima crisi economica, e non si lancino in inutili faide.
Non devono soprattutto dimenticare l’incredibile importanza geostrategica acquistata dall’Ucraina dopo il ‘91. Janukovich, che utilizza consiglieri americani, non è un filo-russo e non andrà verso Mosca. Anzi rappresenta interessi dell’imprenditoria nazionale in pieno contrasto con quelli degli ingombranti vicini.
Il neo-presidente giocherà la carta della presentabilità e della stabilità sia con il Cremlino che con Bruxelles. Senza un accordo tra fornitori e clienti, pensa giustamente Janukovich, Kiev rischia di perdere peso geostrategico. Russi ed europei hanno già messo in piedi due progetti per la costruzione di oleodotti (South Stream – con l’italiana Eni capocommessa – e Nabucco) che bypassino l’ex repubblica sovietica. La loro spesa è astronomica e la materia prima per tutte e due le pipeline manca. Un garante a Kiev degli approvvigionamenti tra Est ed Ovest costa certamente meno.
Due condanne per furto e violenza nonché quasi tre anni passati in galera. C’è anche questo nella biografia di Viktor Janukovich, cresciuto dalla nonna in un piccolo centro del bacino carbonifero del Don. “Furono errori di gioventù”, ha in passato commentato il neopresidente che ricorda l’adolescenza come un periodo di fame e di lotta per la sopravvivenza. Elettricista, poi autista, quindi ingegnere meccanico, ebbe la fortuna di diventare un protetto di Gheorghij Beregovoj, astronauta sovietico, che lo aiutò a muovere i primi passi in politica. Secondo i suoi avversari in realtà politici fu “mamma Kgb” a redimerlo.
Janukovich è stato a lungo governatore regionale di Donetsk, quindi due volte primo ministro. Nell’autunno 2004 è stato travolto dal ciclone della rivoluzione arancione, quando sembrava ormai destinato a diventare capo dello Stato. Durante gli anni del suo premierato il capo del partito delle Regioni fu apprezzato anche in Occidente, dove l’allora leader ucraino Leonid Kuchma veniva aspramente criticato per gli scandali che lo vedevano coinvolto in prima persona. L’affare Gongadze, con l’uccisione di un giornalista dell’opposizione, e la vendita di armi all’Iraq minarono il suo prestigio tanto che ad un vertice internazionale a Praga la Nato utilizzò la dizione francese, invece che quella tradizionale inglese, per evitare che Kuchma si sedesse vicino a George Bush. Janukovich in quel periodo rappresentava la “faccia pulita” di Kiev. Poi il disastro delle presidenziali del 2004 e la resurrezione con il fallimento degli arancioni pro-occidentali.
Quest’uomo goffo nei movimenti, ma di una intelligenza fuori dal comune, è sostenuto dall’imprenditoria industriale dell’est. Le maggiori imprese del Paese sono indubbiamente con lui. I suoi detrattori lo descrivono come una “marionetta” nelle mani degli oligarchi, il politico della restaurazione. Il neopresidente, famoso anche per le sue gaffe, viene descritto come vicino a Mosca, ma, invero, quando fu premier aiutò gli oligarchi suoi amici a fare propri i migliori bocconi delle privatizzazioni, andando spesso a scontrarsi con gli interessi russi.
Contrario all’adesione di Kiev all’Alleanza atlantica, ma favorevole all’integrazione nell’Ue, il quasi 60enne Janukovich ha criticato spesso duramente la politica “mono-vettoriale” del suo predecessore Viktor Jushenko. Un Paese come l’Ucraina (diviso fra le sue due anime contrapposte) non può dimenticare i suoi legami storico-economici con la Russia, con cui va risolto al più presto il problema della presenza della Flotta del Mar Nero a Sebastopoli. La lingua di Pushkin dovrà diventare la seconda lingua ufficiale, venendo incontro ai milioni di russofoni, che si scontrano quotidianamente con una situazione assurda.
We are a group of long experienced European journalists and intellectuals interested in international politics and culture. We would like to exchange our opinion on new Europe and Russia.