“Se canti e dici la verità la gente lo capisce. Grazie Europa per avermi votato”. Jamala riesce a trattenere a mala pena l’emozione dopo aver trionfato nel Festival della canzone europea a Stoccolma. La tatara, rappresentante dell’Ucraina, ha cantato della deportazione del suo popolo dalla Crimea verso l’Asia centrale nel 1944 da parte di Josif Stalin.
Splendida lei, ottima la canzone in tataro ed in inglese con una sceneggiatura mozzafiato. Appena atterrata a Kiev, la 32enne cantante si è esibita in un concerto. Dopo 12 anni la repubblica ex sovietica rivince così Eurovision. Il presidente ucraino Petro Poroshenko ed il premier Groisman si sono subito congratulati con lei.
Le autorità tatare in esilio sono entusiaste: questo è un “primo passo verso la liberazione” della penisola contesa, “annessa” dalla Russia nel marzo 2014. “Sono felice che Jamala abbia vinto – afferma l’autorevole giornalista Ayder Muzhdabayev -. La sua missione era anche quella di raccontare all’Europa ed al mondo della deportazione del 1944 e della realtà di oggi in Crimea. Ci offendono, ci cacciano, ci costringono ad emigrare”.
Se gli ucraini ed i tatari di Crimea festeggiano, i russi – arrivati terzi dopo l’Australia – appaiono contrariati. “E’ stato tutto preordinato politicamente oppure il pubblico è scemo” titola il quotidiano Moskovsky Komsomolets.
I commenti sui social media sono durissimi, alcuni letteralmente furibondi: “E’ stato un teatro dell’assurdo”; “Hanno cambiato le regole” (ndr. il regolamento è nuovo per l’edizione 2016); “E’ stato tutto politicizzato”. E poi “cosa c’entra l’Australia con l’Eurovision?” Qualcuno tenta di consolarsi: “la Russia ha vinto il voto degli spettatori”, ma non quello della giuria specializzata che ha ribaltato il risultato finale. Il superfavorito della vigilia dai bookmakers, Serghej Lazarev, ha comunque fatto un figurone! Ad onor del vero, la scenografia presentata era bellissima, di un livello stratosferico.
Alcuni politici federali hanno chiesto l’annullamento del risultato di Stoccolma e di boicottare l’edizione del prossimo anno in Ucraina, Paese ospitante per la vittoria di Jamala. Secondo la deputata Elena Drapeko la Russia ha perso per “la guerra di informazione” e per la “generale demonizzazione” all’estero.
La proposta di organizzare Eurovision 2017 in Crimea, ora sotto giurisdizione russa, e non a Kiev provoca le reazioni più diverse. I nervi sono scoperti e le parole grosse, che volano, anche tra personalità di primo piano, non si contano. Jamala ha tagliato corto e in maniera diplomatica ha detto: “Non so dove si svolgerà la prossima edizione, ma sicuramente sarà in Ucraina”.
Dichiarazione comune firmata all’Avana da Papa Francesco e il Patriarca Kirill:
La comunità di connazionali, sorta nel XIX secolo (tra il 1830 ed il 1870) nella regione orientale della Crimea nei pressi della città di Kerch, fu deportata nel gennaio 1942. Allora si contavano 5-6 mila italiani, in maggioranza gente dedita all’agricoltura ed all’artigianato, di origine pugliese della zona di Trani e Bisceglie.
Oggi a Kerch, città famosa per lo stretto – accesso del mare di Azov dal mar Nero – abitano 500 persone, discendenti di quanti sono tornati dal Kazakhstan, dalla Russia e dall’Uzbekistan. Il presidente Putin ha inserito gli italiani di Crimea con un decreto, pubblicato il 13 settembre 2015, tra i popoli deportati da Stalin da riabilitare. In precedenza né il governo sovietico né quello ucraino avevano agito in tal senso.
I liguri, generalmente commercianti o persone di mare, abitavano nella vicina Feodosia, sempre in Crimea, oppure a Mariupol, secondo porto dell’Ucraina – ancora oggi cruciale per l’esportazione di grano e di prodotti metallurgici -, oppure ad Odessa, dove tra il XIX – ed il XX secolo era stato costituito un liceo italiano.
A Taganrog, un centinaio di chilometri ad est di Mariupol, sempre sul mare di Azov visse Giuseppe Garibaldi tra il 1831 ed il 1833. Qui l’eroe dei due mondi si avvicinò alle idee mazziniane della “Giovane Italia”, propagandate dagli esuli. Sempre a Taganrog, davanti alla passeggiata a mare, è stata eretta l’unica statua dedicata a Garibaldi in territorio ex sovietico.
In tutta questa area, dopo l’unità di Italia, vennero aperti un Regio Consolato ad Odessa e vari vice-consolati a dimostrazione dell’importate presenza di connazionali. Questo periodo si chiuse con la Rivoluzione d’ottobre ed le successive repressioni staliniane.
Giuseppe D’Amato
Testo AUDIO 1. – Luisa Perugini – SBS radio – Australia
Testo AUDIO 2. – Luisa Perugini – SBS radio – Australia
Testo AUDIO 3. – Luisa Perugini – SBS radio – Australia
Testo AUDIO 4. – Luisa Perugini – SBS radio – Australia
Vladimir Putin ha fatto bene i conti nel gettarsi nel ginepraio mediorientale? Gli aspetti da considerare nell’intervento in corso sono i più disparati: da quello economico a quello della sicurezza interna; da quello militare a quello politico-religioso.
L’economia russa si trova oggi a convivere con una crisi strutturale e con il fallimento del modello di sviluppo. La pioggia di proventi a catinelle, generati dalla vendita delle materie prime, si sta estinguendo facendo emergere scogli inaggirabili da due decenni.
I forzieri sono ancora pieni di dollari, ma questi potrebbero finire presto senza un allentamento delle sanzioni occidentali. Il tempo delle decisioni impopolari si avvicina, quindi. Ecco perché non è chiaro dove Putin troverà i soldi per la nuova guerra.
Colpire gli estremisti fuori dai confini patri significa inoltre tornare ad essere un bersaglio dell’“internazionale del terrore” come negli anni Novanta, quando gli attentati erano continui. I servizi di sicurezza hanno preparato filtri, collaudati in Caucaso, ma il sangue potrebbe scorrere ugualmente. La popolazione è disposta a ripiombare nella paura provata a lungo più di un quindicennio fa?
Come dimostrato in passato, i raid aerei sono poco effettivi senza un’azione terreste coordinata. La portata dell’operazione russa è per ragioni logistiche limitata. Cosa pensa di fare allora Putin di diverso dagli altri? Una fotografia a Palmira liberata dagli incivili che distruggono uno dei patrimoni dell’umanità? Per queste ragioni l’attuale operazione federale in Siria appare finora più che altro mediatica e con scopi diversi da quelli mediorientali.
Occupare mezza Ucraina fino a Kiev o abbattere lo Stato islamico, impiegando 50-100mila suoi uomini, è per Mosca possibile. Il problema semmai, come ha provato la tragedia afghana, è gestire un impossibile dopoguerra. Una tale azione, indubbiamente, servirebbe a levare pressione estremista dai confini meridionali dell’ex Urss.
Mosca si schiera ora apertamente con gli sciti (iraniani, alawiti, hezbollah, tagichi) contro gli interessi sunniti (sauditi in primis, in parte occidentali) in una regione in cui tutti combattono contro tutti, cambiando spesso bandiera, senza una logica di lungo respiro. L’unica sorpresa potrebbe essere rappresentata da un’azione terreste contemporanea vincente di tutte le forze scite locali, sostenute da Mosca. Allora la figuraccia occidentale sarebbe sì di proporzioni galattiche.
Per adesso, quello siriano sembra l’ennesimo abituale rilancio di Putin. Il problema è che, prima o poi, bisogna mostrare le carte che si hanno in mano.
gda
L’Unione europea è nata per non essere potenza o soggetto geopolitico, ma uno spazio di democrazia e di economia di mercato con una valuta comune, in cui lo Stato di diritto e la difesa dei diritti umani siano garantiti a tutti. Questa l’idea dei “padri fondatori”.
Le crisi, importate dal 2007, stanno evidenziando la lontananza tra le teorie filosofiche e la dura realtà.
Ad esempio, per salvare l’euro si è intervenuti con politiche monetarie non convenzionali, fondi salva Stati concordati in notte insonni. E’ stata pure creata una sorta di unione bancaria per una futura comune politica fiscale.
Adesso, per risolvere il problema dei profughi, cosa ci si inventerà? Le poche centinaia di migliaia di disperati siriani, presenti sul territorio comunitario, sono soltanto l’avanguardia delle 11 milioni di persone, che hanno abbandonato le loro case dal 2011 ad oggi.
Barack Obama è stato eletto dagli americani per concludere le guerre e rimettere in ordine le casse dello Stato. Con la rivoluzione energetica Washington non ha più necessità di vegliare sulle rotte delle materie prime. Da qui anche il suo “non interventismo” in Medio Oriente ed Africa.
Gli europei non hanno capito che è finita l’epoca in cui l’alleato Usa toglieva le castagne dal fuoco. Il vuoto, creatosi nel bacino sud-orientale del Mediterraneo, è stato colmato dagli arabi del Golfo e dall’Isis.
Sorge spontanea una domanda: dov’è l’Unione europea in presenza di crisi gravissime? La politica estera comunitaria appare ancora spuntata, tanto che, mentre Berlino e Parigi sono presenti al tavolo sul conflitto ucraino, solamente britannici e francesi tentano di tenere alta la bandiera fuori dal Vecchio continente.
Non devono stupire le reazioni dei neo europei, quelli orientali, verso i migranti: stanno venendo a galla le contraddizioni dell’allargamento Ue ad Est del 2004, quando la “Casa europea” è diventata un condominio.
Questi popoli, ex “sudditi” del Cremlino, sono fuggiti allora da una pesante situazione geopolitica. Come non dare loro oggi torto alla luce dei tragici recenti avvenimenti ucraini? Questa gente condivide solo in parte certi valori.
Il fallimento delle “primavere” arabe con la mancata esportazione della democrazia, l’instabilità nello spazio ex sovietico e l’incognita cinese sono durissimi banchi di prova.
Se non si vogliono i rifugiati in casa propria bisogna fermare la guerra e l’anarchia, anche sporcandosi le mani. Se si intende limitare l’arrivo di migranti economici è necessario varare politiche di assistenza nei Paesi più poveri. La lezione di questi giorni è una: lo status quo e la paralisi, con interminabili summit, mettono in pericolo la comune coabitazione europea.
gda
Occhio per occhio, dente per dente! La passata logica della Guerra Fredda, rispolverata in questi ultimi due anni da Usa e Russia, viene applicata ormai a tutti gli aspetti delle relazioni bilaterali. Gli americani dislocheranno nuove bombe atomiche in Europa ed in Turchia? Non c’è problema, dice il Cremlino: noi posizioneremo i nostri missili sul Baltico. L’equilibrio strategico di forze nel Vecchio continente, garanzia di pace negli ultimi 7 decenni, rischia di venire modificato, aggiungono le stesse fonti ufficiali russe.
La notizia di fonte giornalistica tedesca sull’ammodernamento di 6 basi Usa per la conservazione di ordigni nucleari (B61) ha mandato su tutte le furie Mosca, che minaccia pesanti contromisure. L’enclave di Kaliningrado, l’ex Prussia orientale, potrebbe ospitare i temibili missili Iskander in grado da qui di colpire qualsiasi obiettivo nel Vecchio continente nel raggio di 500 chilometri. Lo stesso potrebbe succedere (con qualche altro vettore) in Crimea, naturale portaerei in mezzo al mar Nero, ma questa seconda mossa potrebbe avvenire in un momento successivo.
Nel 2011 uno studio dell’aviazione Usa affermò che la “maggior parte” dei siti di stoccaggio non incontrava gli standard del ministero della Difesa. Da qui la decisione di Washington di ammodernarli adesso. A Buechel, secondo le rilevazioni giornalistiche, il governo tedesco investirà 120 milioni di euro per migliorare le infrastrutture. Qui dovrebbero essere custodite una ventina di nuove bombe atomiche (B61) con una potenzialità ognuna di 80 volte l’ordigno esploso ad Hiroshima. Nella base ve ne sarebbero già un’altra ventina. Stesso discorso di ammodernamento, sostiene la Fas – associazione di scienziati Usa non allineata – avverrà ad Aviano in Italia, a Incirlik in Turchia (dove sarebbero già custodite una cinquantina di bombe) ed in Belgio. Le spese per le strutture a carico dei governi nazionali non sono note.
gda
L’unico punto finora certo di questo incredibile maxi-negoziato segreto – con diplomatici di 4 Paesi impegnati direttamente e con quelli americani osservatori interessati – è che si sta trattando il cessate il fuoco insieme alla creazione immediata di una zona demilitarizzata, che si estende da 50 a 70 chilometri dalla linea del fronte. Quest’ultima è calcolata sull’attuale situazione creatasi sul terreno nell’ultimo mese e non su quella superata dell’estate scorsa alla base degli accordi di Minsk di settembre. Stando ad alcune rilevazioni, i separatisti hanno conquistato in gennaio circa 500 kmq di territorio governativo.
Il vero pericolo per i civili è rappresentato dalle artiglierie pesanti, utilizzate a tutto spiano dalle due parti in causa. Allontanarle così tanto dalla linea del fronte significa garantire sicurezza. Da buoni militari ex sovietici sia gli uni che gli altri prima radono al suolo i possibili siti nemici poi fanno avanzare la fanteria ed i carri armati.
Il secondo punto riguarda l’ingresso in Ucraina orientale di una forza di interposizione o di pace. Gli occidentali e gli ucraini puntano alla presenza di caschi blu dell’Onu, mentre i separatisti sono favorevoli soltanto ad unità composte da militari provenienti da Paesi ex sovietici.
Il terzo punto, forse il più dolente, è la chiusura della frontiera gruviera tra Ucraina e Russia. Al momento non è chiaro come si possa realizzarlo, ma appare evidente che qualcuno dei contendenti debba cedere.
Sulle questioni prettamente politiche Kiev è disposta a concedere ampia autonomia ai distretti del Donbass e Lugansk in mano ai separatisti, che, però, non hanno alcuna voglia di tornare sotto la giurisdizione ucraina. Il Cremlino vorrebbe la “federalizzazione” della repubblica slava sorella, ma su questo aspetto non si negozia. L’unica soluzione è un conflitto congelato come in Dniestr, dove dal 1992 esiste uno Stato “non riconosciuto”, formalmente parte della Moldova, ma in realtà indipendente.
gda
I fratelli Navalny sono stati condannati a 3 anni e mezzo per frode nel cosiddetto affaire “Yves Rocher”. Oleg li trascorrerà in carcere, mentre Aleksei avrà la libertà vigilata.
Il blogger è agli arresti domiciliari dal febbraio 2014, poiché sta già scontando una sentenza “sospesa” di 5 anni per “appropriazione indebita” ai danni di una società di legname.
Secondo le opposizioni questi processi con le relative condanne sono motivati “politicamente”. Aleksei, che in passato ha organizzato nella capitale le principali manifestazioni contro il potere federale, ritiene che il carcere per il fratello sia un modo per “fare pressioni su di me”. Il Cremlino non ha voluto commentare il caso. Critiche, invece, piovono da Stati Uniti ed Unione europea.
I sostenitori del blogger hanno manifestato per protesta in piazza del Maneggio. Diversi sono stati i fermi operati dalla polizia. Nel settembre 2013, alle municipali a Mosca, Aleksei Navalny arrivò secondo, dietro al candidato del Cremlino, con un sorprendente 27% di voti.
E’ stata scritta la parola fine sul progetto South Stream. La Russia ha per adesso rinunciato alla costruzione dell’avveniristico gasdotto che avrebbe portato il metano fino al cuore dell’Europa passando sotto al mar Nero ed in mezzo ai Balcani.
Troppi gli screzi con l’Unione Europea per il cosiddetto “Terzo pacchetto” dell’energia. Vladimir Putin si è arreso alla realtà ed al crollo delle quotazioni sui mercati internazionali. South Stream è per ora troppo costoso.
I riflessi economici e geopolitici sono importanti. La Saipemperde un contratto da 2 miliardi per la costruzione della tratta sottomarina; l’Eni evita di indebitarsi per rimanere dentro al consorzio. Geopoliticamente i Balcani non ottengono un futuro possibile collante per una regione da sempre instabile, l’idea di rendere l’Italia un “hub” energetico rischia di fallire con tutte le conseguenze del caso in un mondo sempre più globalizzato, la russa Gazprom rimane prigioniera dell’Ucraina.
Dopo la costruzione del Nord Stream verso la Germania la diversificazione delle vie di approvvigionamento del Vecchio Continente subisce così una pesante battuta d’arresto, aprendo la strada ad un dipendenza non più troppo marcata da Est, ma da Ovest. Il baricentro del mondo dell’energia si sposta lentamente dal Mediterraneo verso l’Atlantico, come successe ai commerci nel XVI secolo.
La conoscenza della storia avrebbe dovuto aiutare i politici italiani ad assumere le giuste posizioni.
Giuseppe D’Amato
We are a group of long experienced European journalists and intellectuals interested in international politics and culture. We would like to exchange our opinion on new Europe and Russia.