“Damascus is the “Stalingrad” of Russian diplomacy. After years of geopolitical withdrawal, Moscow has chosen Syria as a way to revive its image of power in the world. “Not one step back” is the Kremlin’s new strategy, as it was for the Red Army along the banks of the Volga river during World War II. To be more convincing, the Kremlin has simultaneously flexed its muscles by supplying sophisticated […]


 For the first time in many years the power is actually at stake in Kiev. Eighteen are the candidates at the first round of the presidential election. There are not really great ideological or ethnical differences among them. The image of the candidate will give him or her the victory. 20% of the electors are uncertain who to vote for. Some experts say that the central Ukrainian regions along the river Dnepr will be crucial in the second round runoff.

 Sunday’s election for president, the fifth since independence from the Soviet Union in 1991, takes place amid deep economic gloom in Ukraine where the global recession has hit jobs, family budgets and pockets.

 According to several polls taken this week, Viktor Yanukovych will collect more than 30 percent of the vote Sunday, while prime minister Yulia Tymoshenko will get 15 percent to 20 percent. The outgoing President Viktor Yushchenko is supported by slightly more than 3 percent of the electorate. He is widespread considered the main responsible for the economic crisis and the political paralyze after 2006. For Russia’s VTsIOM the former CEO of the National Bank, Serhiy Tihipko, might be the surprise. Yushchenko may agree with him to knock out his prime minister and have better guarantees for the future.

A December 2009 poll found that 82 percent of Ukrainians expect vote rigging, as in 2004. These fears are shared by election observers, both international and domestic. The later also fearing the lack of an independent exit poll.

 Both Yanukovych and Tymoshenko have been accused of having close links with Russia. But Ukraine is not coming back under Kremlin’s supervision. National entrepreneurs have their own interests that are often in contrast with those of their Russian competitors. Kiev will continue its way towards a better integration with the European Union and one day will be a full EU member.

Yushchenko’s main mistake in foreign policy was to force this westwards direction and to want a fast membership in NATO at any cost. He forgot the historical roots of his mainland.  

 Spese folli, elettori abulici, casse dello Stato quasi vuote. Ecco l’Ucraina al voto. Per la prima volta da anni il potere è veramente in palio. Tanti sono i conti da saldare tra i potenti.

  La corsa alle presidenza si gioca sull’immagine dei singoli candidati, poiché la differenziazione ideologica ed etnica è ormai venuta meno. Le principali città del Paese sono invase da giganteschi manifesti con slogan e fotografie ammiccanti. I colpi di estro non mancano.

  “Loro scioperano, Lei lavora”; “loro paralizzano, Lei lavora”. Questa “Lei” non è altro che la carismatica Julija Timoshenko, la combattiva premier, ex dama di ferro della fallimentare rivoluzione arancione. Non serve scrivere il suo nome. Tutti la conoscono, grandi e piccoli. “Lei lavora, Lei vincerà, Lei è l’Ucraina”, recita l’ultimo motto coniato. Evviva la modestia!

 Le risposte degli avversari non sono mancate, anche alcune di pessimo gusto che si tralasciano volentieri. “Per il popolo” è la scelta finale di Viktor Janukovich, suo principale avversario. Il primo slogan – “la vostra opinione è stata ascoltata. Il problema è stato risolto” – seguiva uno stile antiquato ed aveva intrinsecamente reminescenze dei tempi sovietici.

 I 5 più accreditati concorrenti hanno deciso di non partecipare ai teledibattiti, organizzati come confronti uno contro uno. Non si vuole fare pubblicità a comprimari poco conosciuti.

 I sondaggi rivelano poi che saranno le regioni centrali del Paese, quelle lungo il corso del Dniepr, ad essere l’ago della bilancia della partita in caso di ballottaggio. Una recente rilevazione con un margine di errore dell’1,8% dà in testa al primo turno Janukovich col 32,4%. Seguono la Timoshenko col 16,3 e Jatseniuk col 6,1%. Il presidente uscente Viktor Jushenko, anima della rivoluzione arancione del 2004, non dovrebbe superare il 5% e porterà via consensi alla premier con cui è entrato in rotta di collisione. 

 Una mina vagante è  Serghej Tigipko, ex governatore della Banca centrale – come lo fu anni addietro Jushenko -, oggi imprenditore. La sorpresa al primo turno potrebbe essere lui, asseriscono i ben informati. Su questo 50enne in gran forma potrebbero convergere i voti in uscita dall’ex coalizione arancione. Jushenko riuscirebbe così a mettere fuori gioco la Timoshenko ed al secondo turno accordarsi con Tigipko in funzione anti-Janukovich, garantendosi per il futuro. I nemici non gli mancano.

Se, invece, non vi saranno cose inaspettate gli esperti assegnano al ballottaggio la vittoria al grande sconfitto della rivoluzione arancione col 47,4%, mentre la principessa del gas non andrà oltre il 29%.

 Gli ucraini considerano Viktor Jushenko il maggiore responsabile dell’attuale gravissima crisi economica e dell’empasse, in cui si dibatte il mondo politico, che dura dal 2006 con troppe coabitazioni andate a male.

 Certo è che la situazione finanziaria è assai complessa, ma non disperata. Nel 2009 il Pil è sceso di un 15%, l’inflazione viaggia al 16% annuo, il debito estero ha superato i 100 miliardi di dollari. Secondo alcuni studi il tasso di economia sommersa corrisponde al 60% del Pil. Nessun politico o partito si è preso la briga di mettere le basi per le necessarie riforme nei mesi pre-elettorali così l’Fmi ha bloccato la terza tranche di un prestito già accordato.  Il budget per il 2010 verrà discusso alla Rada e dal governo soltanto dopo le presenti consultazioni.

 Gli esperti ritengono che il pericolo di azioni di massa, anche di forza con relativi disordini, non sia da escludere. I politici ucraini ci hanno abituato ad infinite risse con imponenti manifestazioni di piazza. Probabili, sempre secondo gli specialisti, i brogli anche se, a differenza del 2004, la copertura mediatica è maggiore e la legge elettorale è stata cambiata.

 Russia, Unione europea, Stati Uniti stanno alla finestra. All’apparenza nessuno vuole avere un grattacapo non da poco con un boomerang anche finanziario. L’Ucraina, però, è davvero importante dal punto geostrategico. E nessuno intende perderla!

People at Visaginas are frustrated. According to plan last reactor at the Soviet-era nuclear plant of Ignalina has been shut down at 11 p.m. local time. The future has become unpredictable for thousands of high qualified specialists. Will the town of 25,000 inhabitants be abandoned by most of them? The youngsters have already left looking for better jobs in the capital – 2 hours ride by train – or in Russia.

Vilnius agreed to close the facility by 2010 in order to win admission to the EU in May 2004. The plant was built in the 1980 and is considered by many to be unsafe since it shares design flaws with the Chernobyl unit that exploded in 1986.

Lithuania – one of the two most nuclear-energy dependent nations along with France – had been hoping that Brussels would allow it to keep Ignalina open for another two to three years, but the European Commission flatly refused. The EU allocated about $1.2 billion to cover part of the plant’s decommissioning costs.

The country risks to become too dependent on Russian gas supplies. Last shutdown reactor had a capacity of 1,320 megawatts, making it one of the largest reactors in the world. It supplied over 70 percent of Lithuania’s electricity needs. Power prices in the country of 3.3 million people were to rise by 30 per cent for households and 20 per cent for businesses, marking a new blow amid one of the world’s deepest economic crises.

Lithuania’s economy shrank by 15.2 per cent in 2009, the Government estimated, and the nuclear shutdown could shave up to 1 percentage point off gross domestic product this year, experts say

The former Soviet republic is seeking European investors to underwrite construction of a new nuclear power plant. Among the companies under consideration are Britain’s Centrica PLC, Germany’s RWE, Electricite de France, Germany’s E.ON AG energy corporation, the Czech Republic’s CEZ, Finland’s Fortum Oyj, Italy’s ENEL, France’s GDF Suez, Sweden’sVattenfall, U.S. company Duke Energy, Japan’s Toshiba, France’s Areva and Spain’s Iberdrola.

 After January 2009 gas dispute between Russia and Ukraine leaving half Europe without supplies was the EU decision to shut down Ignalina the right one and in the right moment?

Президент o 2009 году

Михаил Ростовский – МК

Статья

31 декабря 2009, исполняется ровно 10 лет с того момента, как первый президент России Борис Ельцин заявил о своем досрочном уходе с поста, оставив кресло Владимиру Путину.

МК

Статья

 

Ten years with Vladimir Putin

BBC – London

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 La battaglia d’Ucraina entra nel vivo. Il 17 gennaio è in  programma il primo turno delle attesissime elezioni presidenziali. Dal loro esito potrebbe cambiare il corso della repubblica ex sovietica, oggi tendente sempre più verso Occidente, verso l’Unione europea, e sempre meno verso la Russia.

 Tanti sono i candidati espressione di locali potentati economici nazionali e regionali. Due i netti favoriti per il ballottaggio: l’attuale premier Julija Timoshenko ed il russofono ex primo ministro Viktor Janukovich. Il terzo incomodo è il presidente uscente Viktor Jushenko che, seppur staccato nei sondaggi, mira ad indebolire la Timoshenko contro cui si è spesso scagliato in questi ultimi mesi criticando la politica economica del governo.

 La rivoluzione arancione dell’autunno 2004 ha visto i suoi protagonisti diventare acerrimi nemici. L’Ucraina vive un momento assai difficile per la gravissima crisi economica. Il Paese ha ottenuto un sostanzioso prestito dalle organizzazioni finanziarie internazionali, ma alcune sue tranches sono state bloccate per la mancanza di volontà di riforme. Con elezioni alle porte varie decisioni impopolari da prendere sono state rinviate.

 Proprio il congelamento dei prestiti fa temere alla russa Gazprom che l’11 gennaio l’Ucraina non pagherà le forniture di gas. Kiev nega ed afferma che tutto è a posto.

 Ufficialmente Russia, UE e Stati Uniti si mostrano lontani dalla contesa. Il presidente Medvedev ha, però, ribadito che è per colpa di Jushenko che le relazioni fra i due Paesi “fratelli slavi” sono così peggiorate. Mosca guarda comunque con simpatia sia alla Timoshenko che a Janukovich. Bruxelles si chiama fuori da uno scontro tradizionalmente a colpi bassi. E’ preoccupata soltanto dalla regolarità degli approvvigionamenti di gas. Obama segue la strada del “reset” col Cremlino e non intende infilarsi in una “rissa regionale”.

 Tanto, sostengono accreditati esperti, l’Ucraina seguirà verso Occidente e sarà la porta per le future riforme in Russia e nello spazio ex sovietico. Ma Mosca non è certo di questo parere.

 Quando Boris Eltsin dovette scegliere a chi affidare l’ingrato compito di riformare l’economia russa non ebbe dubbi. Solo i giovani esperti del gruppo di Egor Gajdar avrebbero potuto fare il miracolo. 74 anni di comunismo ed il fallimento di Michail Gorbaciov con il conseguente crollo dell’Urss avevano lasciato soltanto macerie.

 Nell’aprile 1991, pochi mesi prima, l’allora premier sovietico Valentin Pavlov aveva messo fuori corso le banconote da 50 e 100 rubli per ridurre la massa monetaria. Alla popolazione non era stato permesso di cambiarle. Come se in una notte non fossero più validi i biglietti da 100 euro. Parte dei conti correnti bancari dei sovietici vennero congelati.

 Il 35enne Gajdar, nipote di uno dei più noti scrittori di fiabe per bambini, trovò un Paese in bancarotta, con l’apparato produttivo paralizzato, il tasso d’inflazione alle stelle e con i negozi quasi completamente vuoti. La fame era alle porte. Durante la perestrojka gorbacioviana si era discusso a lungo su come passare da un’economia centralizzata ad una di mercato. Nessuno aveva risposte.

 Gajdar si inventò la cosiddetta “terapia shock” che aveva come misura principale la liberalizzazione dei prezzi, quindi la successiva privatizzazione. Queste erano decisioni ultraliberali, che in un sistema, fermo da decenni, provocarono un autentico terremoto economico e sociale. Ma diversamente non sarebbe potuta andare. La scelta era tra morire lentamente o provare strade radicali per garantirsi qualche possibilità per il futuro. Nell’arco di poche settimane il riformista Gajdar diventò uno degli uomini più odiati del Paese.

 Con la fine della transizione l’ex premier facente funzioni perse il posto a favore dei funzionari d’apparato. Tentò la carriera politica senza successo. Rimase in disparte come punto di riferimento dei democratici-liberali, tornando agli studi.

  Gajdar verrà ricordato non solo come uno dei principali protagonisti della transizione all’economia di mercato nel mondo ex comunista ma anche come uno dei più illustri specialisti russi. Fondamentale è la sua attività scientifica. Gajdar ha fornito le migliori risposte sul perché sia scomparsa la superpotenza sovietica e su cosa debba fare la Russia per evitare la stessa fine.

 Ricostituire un impero, cosa desiderata dall’opinione pubblica federale, significherebbe dire addio alla democrazia. Certe nostalgie, che hanno ripreso vigore dopo l’elezione di Putin nel 2000, vanno abbandonate. Gajdar smonta anche la concezione della grande Potenza energetica con dati alla mano. La maledizione petrolifera pende sul Paese. L’Urss è implosa nel momento del crollo delle quotazioni delle materie prime, per l’incapacità di rinnovare il proprio sistema produttivo e per il ritardo tecnologico accumulato.

 La Russia ha ereditato gli stessi mali anche se il suo sistema economico oggi è più dinamico. Gajdar indica la strada: democrazia ed integrazione nella comunità internazionale. Se saranno seguite strategie antiquate, che in passato hanno fallito, saranno dolori. Gli inquilini presenti e futuri del Cremlino sono avvisati!
Giuseppe D’Amato

16.12.2009

 5 dicembre 2009. Come era nell’attesa della vigilia russi ed americani non hanno purtroppo fatto in tempo. Lo Start, firmato nel lontano ’91, è scaduto senza che sia stato definito un trattato in sua sostituzione.

 Mosca e Washington conserveranno per ora “lo spirito dell’accordo” che ha garantito il disarmo internazionale negli ultimi 2 decenni, hanno dichiarato in una nota congiunta i presidenti Medvedev ed Obama.

 Il negoziato va avanti da mesi, ma restano ancora alcune difficoltà nonostante gli Stati Uniti abbiano eliminato il maggiore ostacolo rappresentato dal progetto di dislocamento dello Scudo spaziale Usa in Europa centrale.

 Il mondo entra così in un periodo di incertezza fino a che non verrà finalmente concordato un nuovo testo e questo sarà ratificato sia dalla Duma che dal Congresso.

 In novembre i nodi in sospeso riguardavano in particolare il sistema di calcolo delle armi ed il loro controllo. Pochissime sono le notizie filtrate in questi mesi anche se si sapeva che russi ed americani partivano da posizioni lontanissime che si sono riavvicinate con l’inizio della presidenza Obama.

Ambasciata elvetica a Mosca

 Perdere questo momento in Russia sarebbe davvero imperdonabile. L’ex superpotenza sta tentando faticosamente di uscire dalla durissima crisi finanziaria che l’ha colpita. I suoi tassi di crescita, per quasi un decennio in forte salita, sono crollati d’incanto. Ma il mercato russo resta uno dei più promettenti al mondo fra quelli emergenti una volta che l’attuale tempesta finisca. La Svizzera ha le carte in regola per giocare una partita impensabile soltanto un paio d’anni fa, quando sembrava che tutto quello che era russo fosse stato toccato da re Mida.

 La recente visita del presidente Dmitrij Medvedev nella Confederazione è solo un punto di partenza, non di arrivo. E’ il primo rilevante risultato della politica iniziata con il riconoscimento della Russia come erede dell’Urss nel dicembre ’91.

 Negli ultimi 24 mesi la diplomazia elvetica ha segnato numerosi punti a favore nello spazio ex sovietico. Su tutti la complessa mediazione nella secolare disputa tra Armenia e Turchia e soprattutto il ruolo svolto nel dopoguerra russo-georgiano. Berna rappresenta gli interessi di Mosca in Caucaso e viceversa quelli di Tbilisi presso il Cremlino.

 Quanto siano dolorosi gli eventi sanguinosi dell’agosto 2008 è comprensibile in particolare dalle generazioni più anziane. Tanti i matrimoni misti. Dopo gli ucraini e i bielorussi i georgiani sono sempre stati considerati dai russi come fratelli. La musica, il mangiar bene, il vino vengono per antonomasia da quelle parti. E’ come se i napoletani un giorno litigassero con il resto d’Italia.

S.E. Ambasciatore Walter Gyger

 

Riuscire a riportare il sereno nei rapporti tra queste due repubbliche ex sovietiche non sarà facile. Servirà un cambio di potere a Tbilisi. Ma agire come arbitri seri e confidenti fidati garantirà possibilità sorprendenti.

 Politica ed economia a queste latitudini sono strettamente connesse. Si pensi ai benefici per le imprese tedesche ed italiane ottenuti indirettamente per l’amicizia tra i leader.

 La Svizzera ha ora le sue chance. Servono determinazione e conoscenza del mercato in presenza anche di prezzi ridimensionati dalla crisi. Nel 2008 le esportazioni in Russia hanno toccato i 3,18 miliardi di franchi, mentre le importazioni 1,05. Si può compiere un deciso salto di qualità. E’ necessario, però, un piano – perché no, ambizioso – che definisca gli obiettivi primari da raggiungere e la tempistica.

 Le imprese farmaceutiche, alimentari e del lusso rosso-crociate hanno importanti fette di mercato, ma si può fare molto di più come possono ulteriormente crescere il turismo e gli investimenti russi nella Confederazione. Per adesso, Mosca si guarda bene dal seguire la strada americana sul segreto bancario elvetico ed in futuro è difficile che lo faccia. Troppe sono le verità sconvenienti per certe élite.

E’ tornato il sereno tra Dmitrij Medvedev e Vladimir Putin. Al Congresso del partito del Cremlino Russia Unita i due leader hanno dato ampia dimostrazione di armonia e compattezza. Nelle scorse settimane il giovane presidente si era lasciato andare a dei commenti e a delle precisazioni che facevano intendere dissapori con il suo amico e predecessore. L’ex leader sovietico Michail Gorbaciov aveva pubblicamente criticato certe considerazioni fuori luogo in un momento così difficile per l’economia federale. Alcuni osservatori erano giunti ad azzardare persino l’inizio di una lunga e tormentata campagna elettorale fino al 2012, data di scadenza del mandato di Medvedev.

A San Pietroburgo le paure dell’establishment si sono dissipate in pochi minuti e si ha per ora la quasi certezza che il duo proseguirà nella coabitazione senza sgambetti. Sapiente è stata la gestione della scena al Congresso con l’intero Paese interessato a scrutare sul futuro. Ambedue i grandi protagonisti sono apparsi insieme sorridenti e a proprio agio come se nulla fosse accaduto. Il presidente ha parlato di politica, il premier di economia.

E’ dall’inaugurazione dell’attuale presidenza, dal maggio 2008 che Medvedev e Putin evitano accuratamente di pestarsi i piedi in pubblico. Al massimo in situazioni separate volano le frecciatine. Gioco delle parti o no, la Russia vive una situazione differente dalla tradizione passata: lo zar od il segretario del Pc od il presidente è sempre stato uno solo, a governare e a decidere. Quando si è vissuto in situazioni di doppio potere il Paese è saltato per aria.

Dopo un primo anno in cui Medvedev è stato tranquillo a svolgere il compitino affidatogli adesso il giovane presidente cerca un suo spazio. Non vuole far passare alla storia il suo mandato come un semplice intermezzo prima della probabile terza presidenza Putin. Sicuramente non gli ha fatto piacere sapere che nella classifica degli uomini più potenti al mondo, stilata dal settimanale Usa Forbes, il suo primo ministro è al terzo posto e lui in Russia è preceduto non solo da Putin ma anche dal suo vice premier ed uomo ombra, Igor Sechin.

La differenza di personalità e di esperienza politica tra i due è notevole. Medvedev è il classico bravo ragazzo, di cui ci si può fidare, ma, in fondo, è un po’ noiosetto. Putin è decisamente più carismatico, è il figlio che tutte le madri russe vorrebbero avere.

Nell’immaginario collettivo il presidente viene associato oggi alla crisi economica, mentre l’attuale premier al boom ed allo sviluppo di inizio secolo. Putin è allo stadio quando la nazionale vince; Medvedev ha commesso il terribile errore di seguire nei giorni scorsi la Russia in trasferta in Slovenia dove la squadra di Hiddink ha perso partita e qualificazione ai mondiali di calcio in Sud Africa.

I mass media, controllati dallo Stato, hanno un ruolo decisivo in questa corsa a chi è più popolare, specialmente in un Paese immenso come la Russia, dove, per adesso si tira un sospiro di sollievo. Il messaggio, che giunge dalle rive della Neva, è uno solo: i due amici di vecchia data hanno riscoperto la simpatia di un tempo aiutati forse dall’aria frizzante di casa.

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